Lo scaffale
L’idraulico che ruba uno schizzo di Picasso, e altre storie di pittori in un villaggio di pescatori. Jan Brokken e”La scoperta dell’Olanda”

Nella notte tra il 9 e il 10 giugno 1967 un giovane idraulico di nome Robert Ferguson riuscì a penetrare nella Queensland Art Gallery di Brisbane, Australia, riuscendo a portarsi via “La Belle Hollandaise”, una “guache” di Pablo Picasso che lo estasiava. Trovato subito dalla polizia, Ferguson fu prima condannato a tre mesi e poi assolto in appello. Dichiarò di non essere riuscito a resistere al dolce sorriso della “Belle Hollandaise”: per questo se l’era portata via con sé. Non era un volgare ladro, era un esteta.
I giudici dell’appello lo capirono e lo assolsero. Picasso, durante uno dei suoi soggiorni in Olanda avvenuto molti anni prima, come al solito era stato audace nel tratteggiare quella bella olandese, provocante e tenera al tempo stesso. C’era andato, Picasso, perché l’Olanda era meta di decine di pittori, e lo fu poi per decenni: quella terra un po’ misteriosa, pur nella sua luce chiarissima, è stata fonte d’ispirazione per tanti artisti e intellettuali del Novecento.
L’aneddoto del ragazzo idraulico che ruba uno schizzo di Picasso per goderne la bellezza è contenuto nell’ultimo libro del grande scrittore olandese Jan Brokken, “La scoperta dell’Olanda” (Iperborea, traduzione di Claudia Cozzi), un affascinante insieme di storie vere il cui protagonista assoluto è Volendam, villaggio di pescatori non lontano da Amsterdam, affacciato sul mare, pittoresco come tutti questi piccoli centri sulla costa. Volendam, e in particolare il suo hotel Spaander, agli inizi del XX secolo divenne un grande punto di riferimento per gli artisti: olandesi, belgi, francesi, inglesi. E Brokken, un maestro nel descrivere le atmosfere più “nascoste” (tra le sue tante opere va ricordata almeno “Anime baltiche”), ci racconta decine di episodi, figure minori, ma anche l’impatto creativo che questo pezzo di Europa determinò su grandi pittori come Paul Signac, George Clausen, Théo van Rysselberghe, Vasilij Kandinskij e tanti altri.
Le riproduzioni fotografiche e le notizie su decine di quadri fanno sì che “La scoperta dell’Olanda” sia anche un formidabile manuale di questo pezzo della storia dell’arte. Qui ci sono storie di pittori per lo più poveri in canna alla ricerca di qualcosa di mai dipinto prima, di una luce, soprattutto, che inondasse la tela rendendo l’”en plein air” ancora più vivido di quanto aveva fatto l’Impressionismo, che era il faro per tutti loro (e non è un caso che Claude Monet e Pierre-Auguste Renoir amassero quel luogo e quella pittura). Già, è nella particolare luce di quel nord dell’Europa che ancora risente dell’aria più francese e che si confonde con quella del mare la forza di quella pittura: «Gli effetti della luce cambiano ogni momento – osservò Paul Signac – quello che vedi non è un dipinto, è un atto d’accusa contro l’immobilità». È quella stessa luce misteriosa che d’altronde era stata dei grandi olandesi del Seicento, da Rembrandt a Vermeer, il pittore tanto amato da Marcel Proust.
Lo scrittore francese, che poco viaggiò, pure soggiornò anch’egli al hotel Spaander di Volendam, dove – scrive Brokken – «rimase particolarmente affascinato da Wilhelmina, la seconda delle sette figlie dell’albergatore. Negli appunti annotò: “Mademoiselle Wilhelmina est délicieuse…”». E non è improbabile che qualcosa di quel ricordo sia finito nelle famose pagine proustiane sulle Fanciulle in fiore: per dire di quanto la bellezza, certe volte, vada ad alimentare altra bellezza.
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