Sono stato tratto in arresto nel lontano 1993 e condannato in via definitiva alla pena dell’ergastolo di tipo ostativo per reati di criminalità organizzata. Pertanto, sono detenuto ininterrottamente da quasi 29 anni. Al momento dell’arresto avevo lasciato a casa una moglie e due figlie ancora bambine. Pensando proprio a loro, ho incominciato a riflettere sul mio passato e sul mio futuro e, dopo alcuni anni, ho deciso di dare una svolta alla mia vita. Ho sentito dentro di me che quel malefico passato altro non era stato che fumo, null’altro che una notte buia e triste. Ho compreso che se volevo veramente cambiare, per prima cosa, dovevo trovare la forza e il coraggio di uscire da quella spirale di violenza figlia snaturata dell’ignoranza beata navigante in questa palude infetta e malefica che è il carcere. Attraverso una profonda e dolorosa introspezione, mi sono reso conto che la vera libertà consiste nell’obbedire alle leggi che ci siamo dati.

Non mi vergogno di dire che quando 29 anni fa ho varcato le porte del carcere, come titolo di studio avevo solo la seconda elementare, sapevo a malapena leggere e scrivere. Nel carcere di Catania Bicocca, ho incominciato a frequentare la scuola e, giorno dopo giorno, sono arrivato a conseguire la licenza di terza media. Nel carcere di Fossombrone, dopo cinque anni di scuola superiore mi sono diplomato come ragioniere. Nel 2011 sono stato trasferito nel carcere di Rebibbia e mi sono iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Tor Vergata. Il 23 ottobre 2019, a 63 anni, sono diventato dottore in legge nella sala teatro del carcere di Rebibbia, davanti ai miei professori, ai compagni di sventura dell’Alta Sicurezza, a mia moglie Giuseppina che da 29 anni aspetta il mio ritorno a casa e davanti a Venera e Cristina, le mie adorate figlie che sono state la mia forza per andare avanti. Con una tesi di laurea in Diritto costituzionale dal titolo “Sopra la Costituzione… l’ergastolo ostativo: per chi ha sete di diritti”, ho preso 110 e anche una “lode” che considero il mio personale riscatto dall’infamia del “fine pena mai” che mi aveva tolto il sonno e cancellato il futuro.

Oltre all’università, per cinque anni ho frequentato insieme ad altre persone detenute un corso di pratica filosofica dal quale è nato il libro Naufraghi in cerca di una stella, un profondo lavoro di scavo interiore che ha fatto emergere il mio essere autentico seppellito sotto le macerie della mia prima vita. Ho frequentato anche un corso di giornalismo e da sette anni sono attore di teatro nella compagnia di Fabio Cavalli, che ha realizzato Rebibbia Lockdown, un film documentario che racconta il carcere ai tempi della pandemia. Da ultimo, ho dato il mio contributo alla stesura di un altro libro, La ferita della pena e la sua cura, pubblicato di recente. Ho completato gli studi e portato avanti la mia revisione interiore. Così, in questi anni passati in carcere in cui mi sono abbeverato e nutrito di cultura, ho conquistato la mia personale “liberazione”. E, vi assicuro, non è stato facile nella prospettiva di una pena che non finisce mai. Se penso alla mia vita passata in “libertà”, neanche con la fantasia più felice avrei potuto mai immaginare un futuro come quello che vedo oggi, che è di una luce e uno splendore indicibili.

Nessun uomo è uguale a quello di venti o trent’anni prima, perciò è doveroso che il giudizio su di lui sia oggi diverso. Si dice: tanto questi non cambiano mai, sempre delinquenti sono. Non è vero, anche la scienza dice che il tempo è un grande scultore, che il cervello si evolve e le persone cambiano. Io non ho nessun contatto con nessuna criminalità, ho avuto il coraggio di recidermi totalmente dalle logiche di un passato maledetto. Sarebbe bello e giusto ascoltarci, perché se nessuno ci ascolta si può pensare che siamo sempre quelli del passato. Mi rivolgo soprattutto ai nostri giudici di sorveglianza: non siate sempre ancorati al passato della persona, guardate alla persona quale essa è oggi, abbiate il coraggio di metterci alla prova.

Io non sono più un ragazzino, ho compiuto da poco 65 anni, la mia vita sta finendo. Ma qui si pena sempre e non si vede mai uno sbocco di libertà. Perciò ascoltateci, solo cosi potete capire il nostro cambiamento, come hanno fatto in questi anni tutti gli operatori dell’area educativa, i nostri professori e le nostre tutor di Tor Vergata. Un aiuto non si nega a nessuno, specialmente quando uno ha capito gli errori del passato e dal male si è convertito al bene. Io, personalmente, ringrazio tutte quelle persone che mi hanno aiutato e che continuano a darmi fiducia, una fiducia che – vi prometto – non deluderò.

*Ergastolano, detenuto a Rebibbia