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Il piano in fase di bozza
L’Unione Europea fuori competizione: tra i dazi di Trump e il deficit con la Cina

Dettagli importanti stanno emergendo sulle politiche commerciali di Donald Trump. Secondo Bloomberg, l’idea sarebbe quella di utilizzare l’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA) come base legale, la stessa legislazione utilizzata per imporre sanzioni economiche, ad esempio contro la Russia. Questo gli consentirebbe di aggirare le varie regole procedurali sui dazi, come la sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962, che il repubblicano aveva utilizzato durante il suo primo mandato per mascherare la politica commerciale sotto il pretesto della sicurezza nazionale; ma questo richiede un’indagine preliminare da parte del segretario al Commercio.
Il piano in fase di bozza
L’idea attualmente in discussione – promossa da Scott Bessent, Kevin Hassett e Stephen Miran, candidati rispettivamente al Tesoro, al Commercio e al Consiglio economico nazionale – prevede un sistema di dazi progressivi che aumenterebbero di circa il 2-5% al mese. Il range si applicherebbe a diversi tipi di prodotti e a differenti paesi. Nell’arco di un anno si tradurrebbe in dazi compresi tra il 24% e il 60%, ma non ci sono indicazioni precise sulla tempistica. Il piano inoltre è ancora in fase di bozza preliminare e non è stato ancora presentato a Trump. Dunque i numeri o l’approccio stesso potrebbero cambiare.
Dalla crisi degli ostaggi in Iran a oggi
A The Donald potrebbe essere riconosciuto un potere discrezionale quasi illimitato. L’IEEPA risale ai tempi di Jimmy Carter, che l’ha invocata per affrontare la crisi degli ostaggi in Iran. Per fare lo stesso, Trump dovrebbe dichiarare uno stato di emergenza economica nazionale. Questo da un lato potrebbe apparire assurdo (vista la crescita economica elevata), ma potrebbe appellarsi alla dipendenza dalle catene di approvvigionamento così come ai surplus commerciali strutturali di Cina e Germania, visti come una minaccia alla sicurezza economica nazionale.
La pressione di Trump
Berlino, in particolare, sta iniziando a rendersi conto di avere un grosso problema. Il quotidiano Handelsblatt cita un consigliere di Trump, secondo cui il presidente eletto ritiene che la Germania sia diventata sempre più disfunzionale. Questa volta l’Europa non potrà evitare i dazi con semplici promesse di acquisti di gas dagli Stati Uniti. Il repubblicano, una volta applicati, li revocherà solo se e quando questi impegni saranno mantenuti. Per la Germania sarà molto difficile bilanciare il proprio conto commerciale bilaterale con gli Usa. Questo è anche il motivo per cui Trump sta premendo, cercando di aumentare l’obiettivo di spesa per la Difesa della Nato dal 2% al 5%. Il che bilancerebbe perfettamente il conto commerciale poiché, data la bassa capacità produttiva militare europea, gran parte di questi fondi verrebbe spesa per beni militari prodotti negli Stati Uniti. Uno dei problemi aggiuntivi per i tedeschi è la mancanza di persone con contatti personali nella nuova amministrazione: hanno scommesso contro Donald in ciascuna delle ultime tre elezioni. Anche l’Italia dovrà fare la sua parte: dopo la Germania è il paese europeo che vanta il maggior surplus commerciale nei confronti degli Usa.
Un equilibrio più sostenibile
Questo contesto di tensioni commerciali con gli Stati Uniti si intreccia con un altro fattore chiave: l’evoluzione dei rapporti economici tra l’Europa e la Cina. Il cliché sulle dipendenze europee è che ci affidiamo agli Usa per la sicurezza e a Pechino per il commercio. Questo non è del tutto vero per diverse ragioni. Da un lato abbiamo il nostro maggiore surplus commerciale proprio con gli Stati Uniti; dall’altro il rapporto commerciale più equilibrato (che un tempo caratterizzava la relazione Ue-Cina) è cambiato. Ora abbiamo deficit commerciali persistenti con Pechino. Un anno record per le esportazioni cinesi nel 2024 sottolinea l’impegno del governo cinese a garantire che questa situazione non cambi a breve. Ciò che sta accadendo con la Cina è sconcertante e al tempo stesso problematico per noi. È inaspettato perché molti economisti avevano previsto che ciò non sarebbe dovuto accadere. L’idea era che – dopo un periodo di crescita trainata dalle esportazioni – il paese si sarebbe stabilizzato in un equilibrio più sostenibile, basato maggiormente sul consumo interno e meno sulla domanda esterna. Questa previsione è stata smentita, e sembra essere principalmente una questione di scelte della leadership cinese. La politica economica di Xi Jinping si è focalizzata su ciò che lui stesso ha descritto nel 2023 come nuove forze produttive. La tesi di base è che la Cina debba continuare a crescere economicamente, non internalizzando la domanda ma attraverso riforme dal lato dell’offerta che le permettano di scalare la catena del valore manifatturiero.
Il modello economico del surplus
Il risultato è una capacità produttiva in diversi settori, come i pannelli solari e le auto elettriche, che supera di gran lunga ciò che la Cina stessa può assorbire. Nel settore solare, la quota di mercato manifatturiero di Pechino è ora più del doppio della sua quota nella capacità solare globale. La capacità produttiva delle auto è cresciuta enormemente dal 2020, mentre nello stesso periodo le vendite di auto domestiche sono cresciute appena. Le sovvenzioni interne possono aver aiutato l’industria delle auto elettriche a decollare, ma il futuro è chiaramente orientato verso i mercati esteri. Gli squilibri globali che ciò genera non sono sostenibili, specialmente con Donald Trump determinato a riportare la manifattura negli Stati Uniti. Nel frattempo, però, possono causare gravi danni. Il nostro problema in Europa è che la Cina si sta ora spostando in settori – in particolare quello automobilistico – in cui ci siamo specializzati in passato, superandoci sempre più sia in termini di scala che di avanzamento tecnologico. Attualmente un aumento delle esportazioni di auto a combustione interna da Pechino sta creando i maggiori problemi. Ma in futuro saranno le auto elettriche. Se persisteremo con il nostro modello economico basato sul surplus, questo ci metterà di fronte a un difficile dilemma politico. Dipendiamo dalla Cina per le importazioni e le materie prime a basso costo, mentre essa erode gradualmente la nostra base industriale.
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