È una lunga scia di dolore e orrore quella che negli ultimi anni si protrae in Italia. Madri che uccidono i loro figli senza motivo, presi da raptus che a volte nemmeno ricordano. Un tunnel buio in cui cadono donne sempre più spesso all’insaputa dei loro compagni o delle loro famiglie. Drammi che si ripetono sotto gli occhi di tutti senza alcun sospetto. L’ultimo quello della piccola Elena Del Pozzo che a luglio avrebbe compiuto 5 anni. La mamma della bimba, Martina Patti, 23 anni, avrebbe confessato a carabinieri e procura, di aver ucciso la figlioletta.

Secondo quanto scrive l’Ansa la donna non avrebbe spiegato il movente del delitto. Quella del rapimento – la donna aveva raccontato ieri che la piccola era stata rapita mentre era in auto con lei, all’uscita dall’asilo, da tre uomini incappucciati e armati di pistola – sarebbe stata una messa in scena per coprire il delitto. Era stata la stessa donna a indicare alle forze dell’ordine dove si trovava il corpo della piccola. Il cadavere è stato rinvenuto in via Turati, a Mascalucia. I carabinieri erano intervenuti nel campo incolto a 200 metri dall’abitazione della madre dopo il lungo interrogatorio alla madre nel corso del quale sarebbero emerse numerose incongruenze. Sul posto era arrivato anche il padre della piccola, anche lui poco più che vent’enne. Non viveva più con la madre della piccola da qualche tempo.

“Uccidere il proprio figlio, oltre ad essere criminale, è un atto profondamente innaturale. Quando un genitore arriva ad andare contro un istinto così forte, distruggendo di fatto l’essenza stessa della natura umana, siamo di fronte ad un enorme disturbo, ad una gravissima psicopatologia”, ha detto a LaPresse Massimo Di Giannantonio, presidente della Società italiana di psichiatria. “Per capire cosa ci sia alla base di atti così drammatici e poter quindi fare una diagnosi – spiega – bisogna disporre di elementi quali l’ambiente familiare e biologico, l’eventuale presenza di disturbi del neurosviluppo o l’assunzione di sostanze psicoattive. Tutti elementi – aggiunge Di Giannantonio – che, quando la situazione arriva al culmine, possono portare a un terremoto psichico“.

“Chi commette questi gesti, trovandosi di fronte all’enormità di quanto fatto, talvolta cerca di costruire una situazione alternativa, mettendo in atto attività mentali espulsive per mitigare l’ansia e il senso di colpa e ponendo la responsabilità al di fuori da se – continua Di Giannantonio – Ma quasi sempre poco dopo, di fronte ad elementi di prova concreti, crolla subito: ammettere la propria colpa diventa così liberatorio e si è quindi pronti ad accettare le conseguenze del proprio gesto”.

La cronaca italiana è piena di storie di questo tipo, di madri che uccidono i figli in preda a raptus difficili da spiegare e che non trovano un movente nemmeno dopo anni di processi e condanne. Un buio nella testa, un disagio dissimulato con i familiari più stretti, un’alterazione psichica che le ha portate, così come ha fatto la mamma della piccola Elena Del Pozzo a Mascalucia, a chiamare loro le forze dell’ordine. Ma anche una verità mai del tutto raggiunta. Perché per Cogne, per Santa Croce di Camerina come per molti altri figlicidi, quello che spesso resta nell’ombra dopo anni e anni di processi e di indagini, è il vero movente del delitto. Che neanche le perizie psichiatriche spesso riescono a portare alla luce.

Sono ben 480 negli ultimi vent’anni, i bambini uccisi dai genitori. E il più delle volte a compiere il gesto sono le madri. Venti anni dopo, Annamaria Franzoni non ha mai ammesso di aver ucciso il suo piccolo Samuele, trovato morto a 3 anni con profonde ferite alla testa nel letto dei genitori a Cogne. È stata riconosciuta colpevole senza un perché, ha scontato 11 dei 16 anni di reclusione che le hanno inflitto e adesso è libera. Neanche Veronica Panarello, ormai da 8 anni in cella, ha mai ammesso di aver ucciso, strangolandolo con delle fascette, Loris, il maggiore dei suoi figli che nel novembre 2014 aveva 8 anni.

Poi c’è il caso più recente di Adalgisa, a Torre del Greco, in provincia di Napoli. La 40enne di Torre del Greco, la sera del 2 gennaio 2022 era sulla spiaggia con il suo bambino e lo gettato in acqua. Per il piccolo sono stati inutili tutti i soccorsi, è morto annegato. Per la procura di Torre Annunziata la mamma avrebbe commesso il tragico delitto perché convinta che il piccolo fosse affetto da problemi di ritardo mentale nonostante, a quanto si apprende, non vi fosse alcuna conferma in tal senso dal punto di vista sanitario. È stata fermata con l’accusa di omicidio volontario.

E ancora in Campania un’altra vicenda drammatica. “Anche gli animali hanno l’istinto di proteggere i propri cuccioli“. E’ la frase pronunciata da Anna Grillo, sostituto procuratore generale di Napoli nel corso della requisitoria, nel processo di secondo grado, in cui chiede l’ergastolo per Valentina Casa, la 32enne madre di Giuseppe Dorice, il bimbo ucciso di botte a 7 anni dal patrigno Toni Badre, 28enne italo-marocchino. Pena pesantissima richiesta, così come in primo grado, anche per la donna che durante la brutale violenza a mani nude e a colpi di mazza da scopa non si preoccupava di soccorrere il figlioletto e l’altra figlia più grande di un anno (salvata poi dai medici del Santobono) ma – secondo la ricostruzione degli inquirenti – pensava a “ripulire il sangue con dei teli lasciati in bagno“, “occultava all’interno della pattumiera le ciocche di capelli strappate dal compagno alla figlia” e durante l’intervento dei carabinieri e dei sanitari del 118 “non riferiva immediatamente che Toni era stato l’autore di quello scempio, negava piuttosto la violenza già perpetrata all’indirizzo dei bambini”.

Padri che uccidono i figli

Poi ci sono i padri che uccidono i figli. Molte volte, alla base del gesto, ci sono matrimoni finiti e, in questo caso, il piu delle volte, sono i padri a uccidere. Come è successo a marzo scorso, a Mesenzana in provincia di Varese dove un uomo di 44 anni, ha ucciso i suoi figli di 13 e 7 anni e si è poi tolto la vita. Per uomini che non accettano la separazione, la più terribile delle “punizioni” nei confronti dell’ex moglie: la stessa sorte toccata a gennaio al figlio di Davide Paitoni, Daniele, ucciso a 7 anni dal padre a Mozzarone in provincia di Varese con una coltellata alla gola.

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.