"Non volevo ammazzarlo, è stato un raptus"
Bimbo ucciso di botte, il patrigno: “Mi sono fumato una canna e si è spento il cervello”
Una lunga lettera dove chiede perdono perché “mi sono fumato un canna, uso sostanze stupefacenti quotidianamente” e quando “ho visto la struttura del letto rotta, mi venne un raptus, come se si fosse spento il cervello…“. E’ raptus la parola chiave sui cui si soffermano Tony Essobti Badre e il suo legale Pietro Rossi nel processo d’Appello che si sta celebrando a Napoli nel tentativo di ottenere un’attenuante ed evitare la condanna all’ergastolo che l’uomo, 28enne italo-marocchino, ha ricevuto in primo grado per l’omicidio di Giuseppe Dorice, il bimbo di 7 anni ucciso a bastonate in casa la domenica del 27 gennaio 2019 a Cardito in provincia di Napoli,
Badre è stato condannato anche per il tentato omicidio della sorellina più grande di un anno di Giuseppe, ridotta in fin di vita e salvata dai medici dell’ospedale pediatrico Santobono di Napoli, di maltrattamenti in famiglia aggravati dalla crudeltà e dai futili motivi, dalla minorata difesa e dall’abuso delle relazioni domestiche. Badre era il compagno della madre dei piccoli, Valentina Cesa, 32 anni, condannata a sei anni perché ritenuta responsabile di comportamento omissivo. Ora però dovrà rispondere di concorso in omicidio e tentato omicidio volontario.
Nel corso dell’ultima udienza, Badre – così come riportato dall’Ansa – ha chiesto di rilasciare dichiarazioni spontanee, leggendo una lettera di due pagine scritta in cella dove continua a ripetere che non voleva ammazzare il piccolo Giuseppe. “…Sono andato a comprare la crema perché pensavo si potesse risolvere – ha detto ancora Badre, apparso in aula in video collegamento dal carcere – …non sembrava che stesse morendo (Giuseppe, ndr)…” . L’imputato ha anche affermato che “…la storia dell’incidente…” (diverse ore dopo l’aggressione vennero chiamati i soccorsi e al 118 ha detto che i bimbi erano stati vittima di un incidente stradale, ndr) che Valentina ha raccontato è stata una sua iniziativa…” come la decisione di pulire “…tutta la casa e di posare la struttura del letto…”.
La donna – secondo l’ipotesi accusatoria – “non interveniva a fermare la furia omicida del compagno, non invocava l’aiuto dei vicini, non contattava i servizi di emergenza delle forze dell’ordine ma provava invece a ripulire il sangue uscito dalle ferite dei figli con dei teli lasciati in bagno, occultava all’interno della pattumiera le ciocche di capelli strappate dal compagno alla figlia e, all’atto di intervento degli operanti, non riferiva immediatamente che Tony era stato l’autore di quello scempio, negava piuttosto la violenza già perpetrata all’indirizzo dei bambini”.
Badre prosegue: “Non riesco a darmi pace forse non la troverò mai… c’è una cosa in particolare che mi tormenta ancora di più, si tratta di quello che ha dichiarato mio fratello Raffaele, cioè che Giuseppe era vivo quando lui è arrivato e questo significa che Giuseppe si poteva salvare…”.
In una precedente udienza, Badre aveva scritto un’altra lettera dove chiedeva al giudice di aiutarlo a capire “perché ho ricevuto un trattamento così duro. Ho sempre ammesso le mie responsabilità…”. Poi aggiunse: “Mi sono messo nel letto per rilassarmi un po’… verso le 8 e qualcosa, sentii che (i bambini, ndr) saltavano sul letto … mi è venuto un raptus di follia, mi si è spento il cervello, e li picchiai… ma non ho mai voluto ammazzarli”.
Secondo il legale Rossi “l’imputato ha compreso la gravità delle proprie azioni ma avverte la pena come ingiusta. In effetti la pena dimostra la tendenza punitiva della sentenza che non tiene conto né delle risultanze processuali né della situazione sociale ed umana di un ragazzo che vuole una rieducazione che l’ergastolo non potrà mai dargli“.
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