Il personaggio
Mai nessuno attaccato alla poltrona come Conte
Vi è, ormai, una caratteristica di questo governo e del presidente del Consiglio che non può essere messa in discussione: la propensione a rinviare tutto ciò che crea problemi e sostituire le soluzioni con le chiacchiere. Gli esempi sono innumerevoli: Autostrade, Alitalia, Taranto, la riapertura delle scuole, etc…. Qualche volta si tenta una accelerazione alla chetichella, come è avvenuto per il Piano per l’utilizzo dei fondi del New Generation Eu.
Ma anche questo argomento, scoperto il blitz, viene tolto dal tavolo della discussione e diventa oggetto di rinvio. Questi giorni, tuttavia, stanno offrendo l’applicazione della tecnica del rinvio ad un ambito del tutto nuovo: quello della crisi di governo. La storia istituzionale italiana non ricorda altre situazioni di presidenti del Consiglio asserragliati a palazzo Chigi a difendere la loro poltrona, nel momento in cui componenti della maggioranza avessero con chiarezza fatto venir meno il loro sostegno. Nella prima Repubblica era sufficiente che anche solo una delle correnti democristiane esprimesse il venir meno della fiducia, perché fossero rassegnate le dimissioni. Nella seconda Repubblica non è mai successo che un governo abbia tergiversato per evitare di andare in Aula e sottoporsi alla conta.
Si trattava, a ben vedere, di un comportamento profondamente rispettoso del principio democratico: se il governo non ha la fiducia delle forze politiche che sono rappresentative della volontà popolare non può continuare a restare in carica. Tutto questo è, oggi, stravolto. Già questo parlamento, nella sua composizione, ha una distanza siderale dagli orientamenti attuali della volontà popolare. Esso è stato tenuto in piedi artificialmente da meri giochi di palazzo.
Ma a questo primo dato di fatto se ne aggiunge un altro. Il governo, che di questo parlamento è espressione, finisce con il ritenere irrilevante non solo la connessione con la volontà popolare, ma addirittura anche la connessione con le forze politiche di cui è espressione. Quali danni tutto questo porti alla fiducia popolare nelle istituzioni democratiche è di facile evidenza. Si tratta certamente di danni di lungo periodo, ma che proprio per questo sono ancora più profondi e duraturi. Nessuno si è chiesto, ad esempio, quanto abbia influito sulla attuale degenerazione del quadro politico e sulla fiducia nei partiti, la congiura orchestrata da Scalfaro con i Ds ai danni di Forza Italia nel 1994. In questo momento, tuttavia, vi è una aggravante ulteriore e per certi versi assorbente.
Nel momento in cui il Paese è nella morsa di una pandemia, stretto tra l’emergenza sanitaria e l’emergenza economica, sarebbe necessario un governo del paese capace e legittimato a decidere. Serve una visione del presente e del futuro che dia luogo a misure coerenti e tempestive. Tutto questo è, evidentemente, inconciliabile con una crisi trascinata avanti per settimane, del tutto incurante del bene del paese. Si risponde che, atteso il momento, non è da irresponsabili trascinare a lungo la crisi, ma aprirla. Il paradosso che questa affermazione implica è grottesco.
La incapacità di questo governo di dare una risposta adeguata all’emergenza che il Paese sta vivendo è largamente condivisa. Ed allora non si comprende come l’emergenza possa costituire la ragione per mantenere in piedi un governo che non è capace, appunto, di gestire l’emergenza. Tutto questo disegna un quadro crepuscolare di questo paese, che non a caso sta vivendo ormai da anni un progressivo declino. Un Paese ormai subordinato addirittura anche all’interesse di una singola persona. È un caso che questo declino è divenuto irreversibile nel momento in cui, tra politici abili solo nel palazzo e presidenti della Repubblica manovrieri, l’essenza della democrazia ha iniziato ad essere aggirata?
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