Mariapia Garavaglia, un curriculum lunghissimo tra ruoli di Governo e amministrativi.

Sono passati 30 anni da Mani Pulite: che cosa ci raccontano quegli anni?

Mani Pulite ha mostrato un aspetto “cattivo” della politica, perché era contro la gente. Se si vive di tangenti vuol dire che si pensa a sé stessi e non al bene comune. Il rapporto tra politica e magistratura si è incrinato a quel tempo perché l’opinione pubblica – e forse non poteva che essere così data la nostra debolezza – ha fatto il tifo per la magistratura ritenendo che stesse salvando il Paese. Lo ha fatto anche inconsapevolmente, soprattutto in assenza di una cultura istituzionale o giuridica in senso lato, per cui ancora adesso se un magistrato denuncia un politico alla fine si sta dalla sua parte. È stata quindi una debolezza della politica e un eccesso di forza della magistratura, che ha esercitato autonomia e indipendenza ma non come la Costituzione vorrebbe. Non avere assecondato ciò che Craxi disse in aula con un’autocritica profonda ma anche come forma di rivendicazione, e cioè che per fare politica occorrevano strumenti, ha arrecato un gravissimo danno alla Repubblica. Noi non solo abbiamo dato ragione a chi diceva che la politica non dovesse essere finanziata, ma poi siamo arrivati anche a definanziarla.

Ascoltando Davigo a distanza di vent’anni quando, sui tanti suicidi in carcere di allora, dice che il problema è il venir meno di fonti di prova, si capisce quale fosse il clima.

Quando si tenevano in carcere persone solo per farle confessare, la Costituzione dov’era? La gente si è fatta ammazzare per avere una Costituzione come la nostra. Io in quel momento ero ministro, succedendo a De Lorenzo, e avevo Farmacopoli, Tangentopoli, Sanitopoli; se non fossi stata capace di mostrare trasparenza in tutta la mia storia politica sarei stata massacrata anche io. Sono convinta che i magistrati oggi, che devono certamente avere le proprie idee, debbano rendersi conto che è necessario riportare ai cittadini una visione per cui il loro ruolo è sì indispensabile, ma da arbitri neutrali.

Vista la tua lunga storia democristiana cosa ne pensi dei tentativi di riesumare la Dc, ultimo quello di Gianfranco Rotondi. È un’impresa sensata o un’operazione nostalgia?

Si può essere nostalgici di cose che ci hanno fatto del bene, però la Dc ha davvero chiuso un periodo storico rivendicando di aver portato a termine un compito. Con l’89 finivano i divieti, l’esclusione di alcuni partiti. Rimaneva escluso l’Msi ma c’era il Pci che aveva partecipato alla resistenza e alla Costituzione e non a caso è incominciata lì l’operazione culturale che Moro non aveva potuto portare a termine. Ma la Dc aveva finito. Che Martinazzoli abbia voluto chiuderla anche formalmente il 29 luglio del ‘92 è stato forse anche inutile, così come passare al Ppi di Don Sturzo. I cattolici per fare politica devono mescolarsi ai partiti, devono partecipare ai congressi e avere ruoli, fare in modo che il loro pensiero sia lievito che aiuti. Cesare Pavese diceva che senza metafisica anche la vita quotidiana non ha le ricchezze che merita, per questo penso che i partiti di oggi non debbano cooptare le persone. Io sarei una “rottamata”, brutta parola inventata da Renzi, che però ha avuto il merito di innovare anche tra le persone, ma avrebbe avuto bisogno secondo me di un po’ di vecchi saggi che avessero passato il testimone ad altri. Chi vuole fare politica insomma entri nei partiti, l’articolo 49 della Costituzione non è un caso che non sia stato mai attuato e nemmeno che non si riesca a fare la riforma elettorale. Bisogna fare un referendum a mio parere, non si possono cooptare le persone da mettere in lista, credo sia anticostituzionale perché il voto non è né libero né segreto. Io voterò sempre ma capisco i cittadini che non lo fanno. Ma lasciare che i cittadini si astengano vuol dire non avere a cuore il sistema democratico.

Si parla molto di questo famigerato “centro”, a mio giudizio oggi un’area non particolarmente presidiata. Pensi ci sia uno spazio oggi?

Se anche non si coagulasse in una forza che prende un nome, su entrambi i lati ci sono pezzi che sarebbero centrali e che faticano a stare sia nel centrodestra che nel centrosinistra. Lo spazio c’è e di solito è quello del Governo, perché quando governi diventi moderato. Martinazzoli diceva che la differenza tra il moderatismo e i moderati o tra il riformismo e il riformatore è la stessa che c’è tra un impotente e un casto, cioè c’è uno spazio di ragionevolezza e non di esasperazione, e al popolo italiano andava bene l’idea dell’alleanza tra le parti che si assomigliano di più, che al governo poi diventano forze moderate. Non vedo questo moderatismo con la Meloni né lo vedo in quell’area a cui sento di appartenere anche perché il Pd guarda di più alla forma estetica che ai contenuti. I partiti devono riconquistarsi la stima coi contenuti e non con gli slogan. A me non interessa dire al Ministro della Giustizia che non si interessa dei giovani, citando la Schlein con Nordio. A lui chiedo di fare cose sulla sua materia. Andreotti, un genio su come raccogliere voti, diceva che se tu dai sulla voce e sulla parola dell’avversario lo fai parlare due volte, insomma dì le tue cose anziché dare la voce agli altri.

Parlando del Pd la vicenda della consigliera veneta Bigon che ha esercitato la libertà di coscienza ed è stata rimossa dalla sua carica di vicesegretaria regionale, fa riflettere.

Il Partito Democratico ha iniziato a scivolare, perdendo la fisionomia di partito delle istituzioni, quando nel 2001 con la riforma costituzionale ha preparato di fatto la piattaforma per l’autonomia differenziata. E poi quando per tre volte ha votato contro la riduzione dei parlamentari e alla quarta a favore, per stare in compagnia del Cinque Stelle ma contro il parlamento, perché ha ridotto la rappresentanza. Sulla questione Bigon dico che noi abbiamo fatto un codice etico nello statuto del Pd per definizione plurale, aggettivo caro a Veltroni. Per essere forza maggioritaria devi essere interclassista ma anche interculturale. Io nella Dc non sono mai stata né sgridata né espulsa, votai la legge sulla cooperazione con Pannella e il mio segretario Piccoli mica mi espulse. Castagnetti e altri votarono contro la guerra in Iraq, idem. Un partito vero non può agire cosi con chi ci salva la faccia, perché chi dissente mantiene altri voti dentro il partito. La Dc votò contro la legge 194 ma ha partecipato al voto, ha presentato emendamenti. La Dc era laica, non usavamo il Papa né i rosari, chi ci votava sapeva cosa pensavamo e non cosa esibivamo. Il Pd deve tornare a essere plurale, perché se il Cinque stelle radicalizza gli impegni il Pd, che non vuole farlo, gli va al seguito e mi dispiacerebbe.

Sei stata Presidente della Croce Rossa Ministra della Salute. Com’è cambiata la Sanità nel tempo, era meglio negli anni 90?

Non è possibile un paragone perché il sistema sanitario è complessissimo, non è solo il pezzo di tutela in senso stretto attraverso la medicina e i farmaci. Oggi la salute è veramente un tutt’uno: come mangi, cosa bevi, che aria respiri, se fai movimento, se sei anziano. Oggi il 23 per cento di italiani è ultrasessantacinquenne, negli anni ‘90 la demografia era diversa. A quei tempi si poteva fare un piano sul materno infantile, sugli anziani, che durava tre quattro anni e con dati soldi. Adesso siamo senza programmazione, perché la regionalizzazione fa sì che ci sia un fondo nazionale e piani nazionali, ma ogni regione ha una sua competenza primaria ed esclusiva. Anche la tecnologia è cambiata, o i farmaci. Alcuni costano moltissimo ma curano definitivamente una malattia, e allora bisognerebbe sistemare il prontuario ma nessuno lo tocca. Io lo feci la notte del 31 dicembre ‘93 tirando fuori 4mila farmaci, frutto del lavoro di una coraggiosa Commissione Unica del farmaco (Cif). Adesso la deospedalizzazione è più facile, perché se sul territorio avessimo sufficienti medici – non li abbiamo perché non si è programmato contando quanti sarebbero andati in pensione – potremmo fare di più. Casa come assistenza domiciliare, casa della salute, l’ospedale di comunità, l’ospedale, una Rsa, un hospice, quindi la vita la prendi da prima che nasca a quando finisce con una filiera che però costa moltissimo. La sanità deve essere sovvenzionata, con professionisti sufficienti, e dev’essere una priorità zero per tutti i governi, ma non lo è più da almeno 25 anni.

Si festeggiano i 15 anni di Facebook: i social come hanno influito sulla politica?

Mi piaceva più la mia epoca, dove se mi insultavano in piazza io rispondevo. Ora ci insultano e non possiamo neanche rispondere, è un rapporto unidirezionale per cui si accodano a tutte le fake news che vengono lanciate. È cambiato il rapporto tra tutto ciò che è comunità, quindi anche la politica, e tutto ciò che è individualità. Molte cose sono ottime ma la gran parte sono nocive, distruggono la relazione, senza la quale non esiste la comunità.