L'intervista
Massimo Teodori: “La relazione tra Meloni Trump? Tutta immagine. Gli Stati Uniti sanno che isolarsi non paga”

Massimo Teodori, saggista e politologo, ha scritto oltre trenta volumi molti dei quali incentrati sulla relazione tra Italia e Stati Uniti.
Che bilancio tra dalla visita di Meloni a Trump?
«Per il momento la relazione speciale di cui si parla è una relazione speciale di immagine. Se passiamo dalle fotografie e dalle dichiarazioni ai fatti reali non vedo alcun atteggiamento degli Stati Uniti verso l’Italia su cui ci possiamo soffermare come conquista significativa, in particolare per l’economia».
Intanto, un incontro fruttuoso dal punto di vista diplomatico. Che dati i tempi, non è poco.
«Nell’incontro di Meloni alla Casa Bianca c’è stata una parte abbastanza spiacevole: il capo del governo di un paese alleato è stata costretta ad assistere, senza parlare, a una parte della conferenza stampa incentrata su Biden, su Powell e su altre questioni interne. C’è stato un lungo silenzio di Meloni che per un certo momento non ha avuto modo di interloquire».
L’empatia di Giorgia Meloni però gioca un ruolo nei tavoli della diplomazia.
«Questa empatia della premier è largamente reclamizzata, ma nel confronto con Trump poi vanno valutati i fatti: la parola di Trump è giudicata nulla quando non falsa. Basta vedere quello che dichiara rispetto alle elezioni truccate nel 2020, sui suoi rapporti con Putin e sulla guerra in Ucraina. Tutti le giudicano, per essere gentili, parole a ruota libera».
Meloni ha coniato un claim, Make the West great again. A voler richiamare Trump al suo ruolo di guida del mondo occidentale.
«L’Occidente manca oggi di una leadership americana vera. Di un ruolo di guida. La linea sovranista e isolazionista di Trump crea una rottura rispetto alla leadership americana dell’Occidente, che si ritrova debole perché privo di leadership proprio a causa di Trump e del trumpismo».
Anche dal punto di vista della guida culturale?
«Dal 1945 in poi, la leadership degli Stati Uniti è stata il punto di riferimento militare, politico, economico e culturale del mondo occidentale. Si pensi all’influenza fortissima che gli Stati Uniti hanno avuto sull’Italia, sulla formazione della classe dirigente italiana. Oggi questa funzione di guida non c’è più, l’Occidente si trova per la prima volta indebolito dal suo interno. E questo segna un passaggio di fase storica, una rottura con il passato».
Come pure i dazi…
«Nel mondo contemporaneo la ricchezza è data dalla liberalizzazione del commercio. Trump la vuole interrompere con i dazi e con altri strumenti. Chi ha una cultura basata sul libero mercato e sul libero commercio mondiale come elemento di ricchezza e sviluppo sa benissimo che interrompendola possono derivarne solo danni».

Lei ha analizzato cinquant’anni di evoluzione politica americana. Il trumpismo è un fenomeno davvero inedito o affonda le sue radici nella storia americana?
«In uno dei miei libri, Ossessioni Americane, ho scritto che Trump non appartiene alla dialettica tra democratici e repubblicani ma ad altro. A una corrente isolazionista che esisteva già ma non era mai arrivata alla Casa Bianca. Era già attiva negli anni Trenta quando c’erano gruppi che strizzavano l’occhio alla Germania allora agli albori del nazismo. E premevano per stare fuori dal conflitto europeo, ripetendo: “Non ci riguarda”. Quel che c’è di inedito oggi è che quella tendenza è arrivata alla presidenza. Fa parte dei cicli: per la struttura federale, per la Costituzione, per i contrappesi che ha la giustizia, gli Stati Uniti possono vivere cicli diversi ma vedranno sempre prevalere la loro natura profondamente democratica».
Vance è a Roma. Sarà lui a prendere il testimone di Trump, in futuro?
«JD. Vance potrà rimanere in politica ma non credo possa ricevere in eredità la Casa Bianca. È arrivato alla vicepresidenza per caso, ha beneficiato del successo di Trump e però, se l’ipotesi del terzo mandato si rivelerà non percorribile, repubblicani e democratici sapranno riprendere in mano il timone della più grande democrazia del mondo».
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