Essere garantisti significa accettare le regole della convivenza civile e battersi affinché esse vengano rispettate da tutti e applicate nei confronti di tutti. Ragion per cui il principio di non colpevolezza, sancito dalla nostra Costituzione, va osservato anche in relazione gli agenti della polizia e ai funzionari dell’amministrazione penitenziaria coinvolti nell’inchiesta sui pestaggi all’interno del carcere di Santa Maria Capua Vetere. Tutti gli indagati, dunque, sono e restano innocenti fino all’eventuale condanna definitiva. Tuttavia, se è vero che le responsabilità individuali dovranno essere accertate dalla magistratura, è altrettanto vero che nel penitenziario casertano un reato è stato commesso. E si tratta di un reato particolarmente odioso perché perpetrato da chi esercita il potere, peraltro con violenza inaudita e nei confronti di soggetti non in grado di difendersi.

Ciò dovrebbe bastare a scatenare l’indignazione dell’opinione pubblica e, soprattutto, di quei rappresentanti delle istituzioni che sono chiamati a incarnare e difendere ogni giorno i valori alla base della nostra comunità. Invece, al netto di qualche esternazione più o meno coraggiosa, solo silenzio. Al sindaco di Napoli Luigi de Magistris, nei confronti del quale il Riformista raramente si è mostrato tenero, stavolta va riconosciuto il merito di aver preso posizione su quella che il gip di Santa Maria Capua Vetere non ha esitato a bollare come mattanza: «Si ripropone con forza la questione carceraria, cioè di carceri ancora non all’altezza di uno Stato democratico. Trovo inaudito, inqualificabile e inaccettabile che ci siano episodi di violenza nei confronti di persone indifese».

Silenzio, invece, da parte del presidente campano Vincenzo De Luca che, poco meno di tre mesi fa, annunciò in pompa magna l’inizio dei lavori per collegare il carcere di Santa Maria Capua Vetere alla rete idrica dopo quasi 25 anni di attesa. Non si è pronunciato nemmeno don Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli che ha inaugurato il proprio ministero pastorale visitando le carceri e dal ci si aspettano parole coraggiose anche sulle sevizie cui i detenuti di Santa Maria Capua Vetere sono stati sottoposti ad aprile 2020. Per non parlare di esponenti politici, movimenti civici e associazioni sempre pronti a prendere posizione sui temi più disparati, ma indifferenti davanti a tragedie come quella degli innocenti ingiustamente arrestati e a quella dei detenuti selvaggiamente picchiati.

Dalla lettura dell’ordinanza cautelare spiccata dal gip, infatti, emerge non solo la violenza ma soprattutto la “perfetta organizzazione” con cui qualcuno intende mantenere l’ordine all’interno dei penitenziari. Il che è indice di una “dottrina della repressione” secondo la quale il carcere non può essere governato se non col pugno di ferro, pazienza se le norme costituzionali vengono calpestate. Ci troviamo davanti a retaggi di una cultura arcaica e violenta che non riesce a tenere il passo della sempre più rapida evoluzione dei diritti. E questo è un ulteriore paradosso dei drammatici fatti di Santa Maria Capua Vetere: la discrepanza tra le crescenti rivendicazioni di diritti, soprattutto quelli civili, e la pressoché generale indifferenza davanti alla violenza usata da chi detiene il potere nei confronti dei deboli. Una vergogna nella vergogna contro la quale tutti dovrebbero scendere in campo.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.