«Non ha senso provare indignazione e pietà per i detenuti maltrattati se non si è disposti a mutare radicalmente i paradigmi su cui si fonda l’istituzione carceraria. Il carcere deve essere un luogo per pochi, anzi pochissimi, in cui il rapporto tra detenuti ed educatori, psichiatri, operatori sia di uno a uno. E la pena deve avere una durata sufficiente a che il reo riacquisti la capacità di vivere i società da uomo libero». La Camera penale di Napoli interviene così nel dibattito sul carcere che si è riacceso all’indomani della svolta nell’inchiesta sui pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.

«Oggi – spiega il presidente Marco Campora – nelle nostre prigioni ci sono uomini che da anni hanno concluso il processo di risocializzazione, ma restano reclusi perché le pene sono spesso legate ad astratti titoli di reato, senza alcuna seria valutazione sul percorso degli uomini. E l’inutile sovraffollamento carcerario impedisce a monte ogni possibilità di dare attuazione all’articolo 27 della Costituzione». Urge, dunque, una seria riforma del sistema. «Il progetto di riforma recentemente avanzato, che si propone di potenziare al massimo le misure alternative alla detenzione, e la storia personale del ministro Cartabia fanno sperare che il carcere possa uscire dalla logica vendicativa e immorale. Che smetta – sottolinea Campora – di essere un recinto finalizzato esclusivamente a contenere i devianti per diventare un luogo di progresso, sviluppo e uguaglianza».

«Prima o poi – proseguono i penalisti – il carcere sarà abolito così come tutte le istituzioni totali del passato che oggi a noi contemporanei provocano ribrezzo. È il momento per iniziare questa opera di graduale demolizione». Oggi il carcere è soprattutto un luogo di sofferenza e diritti compressi. «La realtà, chiara da decenni ma rivelatasi in modo deflagrante durante l’emergenza pandemica, è che l’istituzione carcere, dopo qualche secolo di disonorata carriera, mostra dei limiti evidentissimi che la rendono ormai incompatibile con una società democratica – osserva il presidente dei penalisti napoletani – Non sembra del resto un caso che, proprio nel momento in cui il discorso pubblico sul carcere si è imbandito e incrudelito e sono riemerse parole d’ordine che sembravano bandite per sempre come «devono marcire in galera!» o «buttate la chiave!», si sono verificati eventi (rivolte e relative repressioni) che ci hanno fatto ripiombare in un orrendo passato».

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).