Credenti o no, tutti, almeno una volta, si è pensato all’inferno. Ognuno se lo immagina a modo proprio. Poi esistono pure gli inferni collettivi, i vitelli se lo immaginano come un mattatoio: muggiti disperati, grembiuli schizzati di vita, processioni di morti, fra chi si lascia andare alla paura, davanti al macellaio. Per i detenuti l’inferno è il muro umano degli agenti in tenuta anti sommossa: due schiere di scudi rullati dai manganelli, un tunnel di dolore da attraversare cercando di portare in salvo la dignità.

La dignità, è l’ultima, qualche volta unica, bandiera che ogni carcerato cerca disperatamente di conservare, non sempre e non tutti ci riescono. E non sempre e non in tutte le prigioni si riesce a farlo. È il carcere in sé che è strumento di annientamento. Fra le prigioni nel mondo, quelle italiane sono strumento diabolico, fra sigle variegate, comprese forse solo agli addetti ai lavori, muore la speranza, si contorcono gli articoli e i principi della Costituzione. A Santa Maria Capua Vetere, il 6 aprile 2020, secondo la Procura, sarebbe salito in cattedra l’orrore: i detenuti che avevano protestato per le misure anti covid, sarebbero stati pestati e calpestati. Leggere quanto riporta l’ordinanza che investe le posizioni di 52 soggetti, fra misure cautelari, domiciliari, interdizioni, è un viaggio infernale.

Non un inciampo, non un episodio delimitato a pochi operatori. 52 esseri umani che in qualche modo sarebbero responsabili di tortura sopra altri esseri umani: “bestiame”, “vitelli da abbattere”. Se questo è, se questo sarà, forse, stavolta, ci si fermerà a capire su cosa sia il carcere in Italia, o forse si andrà oltre come è accaduto altre volte. Ci si chiederà perché nel carcere di Rossano, Cesare Battisti, sia stato disposto a lasciarsi morire per non continuare a subire quel tipo di detenzione; ci si domanderà che se è intollerabile il carcere nel circuito as2, in cui è Battisti, come sarà il carcere in as1? E al 41bis? E nelle forme più dure del 41? E ci si domanderà pure quale sia il senso delle richieste e proteste, giuste, all’Egitto sulle condizioni carcerarie di Patrick Zaki.

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E' uno scrittore italiano, autore di Anime nere libro da cui è stato tratto l'omonimo film.