Il boss davanti al gip
Matteo Messina Denaro: “Non ho ordinato io l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo”

Matteo Messina Denaro dice di non aver ordinato l’omicidio di Giuseppe Di Matteo. Di aver ordinato il sequestro ma non di essere il mandante dell’omicidio del bambino di dodici rapito, imprigionato e ucciso da Cosa Nostra perché figlio del collaboratore di Giustizia Santino di Matteo. Come riporta l’Ansa, davanti al gip Alfredo Montalto che lo interrogava, il boss della Mafia siciliana arrestato a Palermo lo scorso lunedì 16 gennaio avrebbe scaricato tutte le responsabilità su Giovanni Brusca, da poco liberato dopo 25 anni di carcere.
Giuseppe Di Matteo venne rapito il 23 novembre del 1993 in un maneggio di Villabate. Il padre era Santino Di Matteo, accusato di dieci omicidi mafiosi e arrestato nel giugno del 1993. Poco dopo il suo arresto, Di Matteo padre divenne collaboratore di Giustizia. Raccontò alle autorità dettagli rilevanti sulla strage di Capaci in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i membri della scorta. Come vendetta per la sua collaborazione, e per convincerlo a ritrattare, Cosa Nostra decise di ordinare il rapimento del figlio Giuseppe.
Il 12enne venne avvicinato dai rapinatori in un maneggio, si spacciarono per agenti dell’antimafia e gli dissero che lo avrebbero portato dal padre, che non vedeva da tempo. “Agli occhi del ragazzo siamo apparsi degli angeli, ma in realtà eravamo dei lupi – ha raccontato uno di questi, Gaspare Spatuzza, anche lui collaboratore di Giustizia – lui era felice, diceva ‘papà mio, amore mio’”. Il bambino venne incappucciato e chiuso nel bagagliaio di un’auto, imprigionato e trasferito in diversi covi tra Campobello di Mazara – lo stesso paese in cui si trovava l’ultima casa di Messina Denaro, dove trascorse un periodo di prigionia nella casa di campagna di Giuseppe Costa, fedelissimo del boss – , Palermo, Trapani e Agrigento.
Il rapimento durò più di due anni. Finì a San Giuseppe Jato, in provincia di Palermo. Dopo la condanna all’ergastolo di Giovanni Brusca venne ordinata l’uccisione. Gli esecutori materiali furono Vincenzo Chiodo, Giuseppe Monticciolo e Vincenzo Brusca. Quando venne ucciso Giuseppe Di Matteo aveva quasi quindici anni. Venne strangolato e sciolto nell’acid, di lui non è rimasta neanche una traccia. Furono decine le condanne per l’uccisione del ragazzino. Messina Denaro venne condannato nel 2012, mentre era latitante. A Giuseppe Di Matteo sarà intitolata una scuola elementare a Castelvetrano, paese natale di Matteo Messina Denaro.
A La Repubblica, Santino Di Matteo dopo l’arresto del boss, aveva dichiarato che se avesse potuto tornare indietro tornerebbe a collaborare con la Giustizia. “È stata la scelta giusta: contribuire ad accertare la verità, per ottenere giustizia. Un impegno che ho proseguito sempre. Quando i magistrati mi chiamano nei processi, vado subito – aveva dichiarato – Quando ho saputo dell’arresto di Messina Denaro, il primo pensiero è stato per mio figlio Giuseppe. Tutti quelli che hanno avuto a che fare con il sequestro e la sua morte sono finiti in carcere. Mancava solo lui”.
L’interrogatorio non ha sciolto altri nodi dell’inchiesta. La sorella Rosalia, considerata la persona più vicina al boss, non ha risposto alle domande. Resta in carcere. Per gli inquirenti era lei che teneva la cassa, aggiornava la contabilità, custodiva un migliaio di pizzini nei quali si ritrovano tutti o quasi tutti i personaggi del cerchio magico del boss, amanti comprese. Gli aggiornamenti sullo stato di salute di Messina Denaro intanto riportano che l’ex latitante ha concluso il ciclo di chemioterapie e sta assumendo farmaci.
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