La nostra inchiesta sulla CGIL non passa inosservata: mail e messaggi che ci arrivano – molti dei quali densi di segnalazioni che stiamo mettendo al vaglio – ci parlano di un sindacato logorato. Di più: sull’orlo di una crisi di nervi. Gli scheletri nell’armadio premono per uscire. La “Landinizzazione” della quale ci stiamo occupando ha scontentato molti.

I dubbi sull’interpretazione statutaria della norma che vieta ai segretari di esserlo avendo l’età pensionabile sono oggetto di dibattito. “Ma se ha anticipato il congresso proprio per non incorrere poi nella decadenza da anzianità contributiva”, ci scrive una fonte ben informata, emendandoci. Molti si mettono comunque a disposizione per approfondire, per aprire un dibattito sulla necessità di una operazione trasparenza nella CGIL.

Ci sarebbero testimoni e ‘pentiti’ anche ai piani alti di Corso Italia pronti a fare la loro parte per raccontare al Riformista quel che accade nelle segrete stanze. Ci parlano di appartamenti (“e tutti di grande metratura”) in zone di pregio della Capitale per soddisfare le necessità di qualcuno, ai vertici. E di generosi buoni benzina, ma anche di rimborsi per spese di vestiario degne del più alto management delle multinazionali. Tutto da verificare. Non scriveremo una riga senza i dovuti riscontri.

Scriveremo invece che la consegna del silenzio che CGIL impone ai suoi non è degna di una sigla che pretende di avere nel suo Dna la difesa di libertà e democrazia. Già, perché se nessuno dalla CGIL ci risponde non è casuale. Il silenzio è d’oro, sembra la massima adottata da Maurizio Landini e da colui che ha in carico l’intera macchina della comunicazione, Gianni Prandi. Due amici d’infanzia che hanno fatto del loro asse una costante nel tempo. E che oggi vedono la CGIL di Landini e Assist Group di Prandi procedere come due entità consustanziali: l’una ha bisogno dell’altra, l’una alimenta l’altra, in un ticket dai contorni non sempre nitidi.

Rimane da chiarire dove finisca l’amicizia e dove inizi il rapporto professionale. Restano, nero su bianco, le cifre del volume d’affari di cui alla voce Comunicazione CGIL. Due milioni e settecentomila euro. Una torta allettante, dalla quale negli anni sono stati allontanati Massimo Gibelli, Gabriele Polo, Vanna Palumbo. Giornalisti eccellenti, comunicatori di grande fama. Fuori loro, dentro Prandi. E la musica cambia. Anzi, la musica tace.

Perché il nuovo Regolamento CGIL sancisce che tutte le Assemblee Generali, prima considerate riunioni pubbliche, sono adesso riunioni riservate. Viene fatto espresso divieto di parlarne. La consegna del silenzio, nei termini in cui è stata codificata dallo Statuto e dai regolamenti (le “Delibere attuative”, le chiamano) non possono non colpire per la rigidità e il rigore d’altri tempi cui sembrano richiamarsi.

Il 19 luglio scorso, all’Assemblea generale, ne ha parlato in un appassionato intervento dal palco Eliana Como, portavoce della mozione “Le radici del sindacato”. La dirigente sindacale non ci gira intorno: “Non trovo condivisibili le modifiche del nuovo Regolamento. Non si può imporre di tenere segrete le nostre riunioni, impedendo la realizzazione e la pubblicazione di riprese sonore o video. Se non abbiamo niente da nascondere, trasmettiamo anzi le nostre sedute in streaming”, aveva provocato la dirigente in aperto dissenso con Landini. Proposta bocciata. Le riunioni della CGIL sono adesso riservate. Segrete. Poi si stupiscono se la stampa non ci vede chiaro.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.