Più volte mi sono chiesto se anche gli adolescenti dei nostri giorni, allevati a pane e distrazione digitale, decideranno presto o tardi di far parte di qualcuna delle grandi famiglie politiche che hanno accompagnato il nostro cammino nell’ultimo secolo. Saranno più riformisti o più conservatori? Vagamente liberali o sfegatati socialisti? Popolari o progressisti? Purtroppo il mio timore è che tutte queste classificazioni, che un tempo erano bussole esistenziali, rischiano di diventare etichette prive di senso, perché vedo crescere una generazione di anarco-piattaformisti: giovanissimi rinchiusi nelle loro confortevoli bolle digitali. Per loro, la sopravvivenza sine die di questa casa galleggiante nell’info-sfera, è la sola ideologia per la quale vale la pena spendersi e battersi. Fuori dalle piattaforme c’è un caos che non gli interessa per nulla conoscere, governare, ordinare.

Qualche giorno fa, su questo giornale, Andrea Laudadio ha scritto un articolo che potremmo definire di formazione. Più e meglio di un romanzo, nonostante la brevità. Da genitore e padre di due giovani ragazzi di 12 e 8 anni si augurava che i suoi figli potessero liberamente coltivare i loro sogni e le loro passioni, ma prima di ogni altra realizzazione sperava che Alice e Francesco nel percorso di vita potessero essere dei figli riformisti. In quell’auspicio c’erano anche le matrici valoriali, tracciate in positivo, del riformismo che “non è un’ideologia (…), non è una posizione politica. Essere riformisti è una disposizione dell’anima. Significa non accettare la mediocrità solo perché è comoda. Vedere il mondo non per quello che è, ma per quello che potrebbe essere”.

Da genitore e padre di Aldo, che da poco ha compiuto 14 anni, spero invece che mio figlio nel crescere in questo mondo voglia e sappia essere un figlio del conservatorismo e, al pari di Andrea, anch’io “lo scrivo su queste pagine, nella speranza di non essere il solo a pensarla così”. In minoranza, certo, ma non il solo. A differenza sua, però, vorrei provare a disegnare i confini del conservatorismo evidenziando ciò che non è o che non dovrebbe essere, piuttosto che soffermarmi sui suoi caratteri identitari, partendo da una convinzione banale, ma che è opportuno rammentare: per essere un domani riformisti all’altezza del compito, c’è la necessità di avere sul fronte opposto dei conservatori altrettanto bravi.

Al contempo, per evitare che il fiume del conservatorismo possa esondare, ci deve essere un solido argine riformatore pronto a rimetterlo nell’alveo. In buona sostanza, se Alice e Francesco un domani vorranno essere figli del Riformismo, scritto volutamente con la maiuscola, devono sperare di incontrare nel loro cammino tanti Aldo che nel frattempo hanno mantenuto accesa la lanterna del Conservatorismo. Poiché il pericolo più grande che dovremmo scongiurare non è quello di aver più gli uni o gli altri a governarci, ma solo figli imbevuti nell’anarchia dell’algoritmo.

Essere conservatori, quindi, non significa accettare supinamente la narrazione di un passato che a prescindere è sempre migliore dell’oggi, senza comprendere che le società per (r)esistere devono fisiologicamente mutare, pur rimanendo dentro un perimetro di valori fondamentali; per essere conservatori non serve montare la guardia a un pantheon etico per difenderlo da tutte le invasioni meticce, straniere o blasfeme, perché in questo modo ogni comunità diventa un ripostiglio senza luce e senza futuro. Il conservatore non getta via il passato e neanche lo mette stupidamente sotto chiave per lasciarlo ammuffire, ma impara a raccogliere le eredità valoriali dandogli sempre una nuova vita e linfa. Ecco perché, meglio un figlio conservatore o riformista che uno anarco-piattaformista.

 

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Domenico Giordano è spin doctor per Arcadia, agenzia di comunicazione di cui è anche amministratore. Collabora con diverse testate giornalistiche sempre sui temi della comunicazione politica e delle analisi degli insight dei social e della rete. È socio dell’Associazione Italiana di Comunicazione Politica. Quest'anno ha pubblicato "La Regina della Rete, le origini del successo digitale di Giorgia Meloni (Graus Edizioni 2023).