Sono impietosi i numeri resi noti da un’indagine della Cgil su dati Inps: grazie al taglio del reddito di cittadinanza, nel 2024 il Governo riuscirà a risparmiare 4 miliardi di euro. Ciò è possibile perché il nuovo meccanismo di sostegno contro la povertà, l’assegno di inclusione (Adi), taglia fuori 629mila famiglie o oltre 1,1 milioni di poveri. I numeri sono particolarmente preoccupanti perché in Italia ci sono 5,7 milioni di cittadini che vivono in povertà assoluta. Il dato, come confermano numerose indagini indipendenti, è sempre più in crescita.

Numeri

Ricordiamo che nel corso del 2022, ultimo anno di pieno impiego della misura fortemente voluta dai grillini, il Governo ha speso per integrare il reddito dei più poveri circa 8 miliardi di euro in reddito e pensioni di cittadinanza. Nel corso del 2024, invece, la spesa a bilancio si ferma a circa 4 miliardi di euro. Un taglio netto in parte recuperato dai tanti bonus che in questi due anni l’Esecutivo di Giorgia Meloni ha messo sul tappeto.

Lavoratore povero

Ciò che fa preoccupare ulteriormente, però, è che le persone che hanno perso l’assistenza prevista dall’assegno di inclusione e che hanno iniziato a lavorare, spesso, ottengono una retribuzione che non li risolleva dallo stato di povertà. Basti pensare che tra gli operai, l’incidenza della povertà è cresciuta rapidamente. Nel 2023 essa è arrivata al 16,5 per cento: l’anno precedente era più bassa di due punti percentuali. Quindi, si esce dallo status di povero assoluto e si diventa lavoratore povero; una situazione nella quale il salario non è sufficiente a garantire una vita dignitosa, visto che l’Istat definisce la soglia della povertà come “la spesa minima necessaria per acquisire i beni e i servizi inseriti nel paniere di povertà assoluta”. Tradotto in termini pratici: ci sono operai che non riescono a mettere il piatto a tavola tutti i giorni.

Manovra non per poveri

La cosa che maggiormente fa riflettere è che nella manovra di bilancio per il 2025 non vengono messe sul tappeto soluzioni strutturali per affrontare questa emergenza. Oltre al Bonus Natale (le cui domande per il pubblico impiego scadono oggi), scorrendo le proposte al vaglio del parlamento non si trova nessuna misura che possa combattere o almeno mitigare il rischio povertà. Sorprende, inoltre, come il dibattito sul salario minimo sia stato derubricato a scontro ideologico quando in Italia ci sono oltre 3 milioni di lavoratori che non hanno una tutela da contratto nazionale e che quindi guadagnano cosi poco che il loro potere di acquisto diventa sempre più debole.

Sindacato dove sei?

Eppure dovrebbe essere proprio il sindacato a fare le barricate per ottenere un salario minimo e magari offrire alle aziende un patto per la produttività. Se quest’ultima cresce, infatti, aumenta il valore aggiunto da poter redistribuire anche ai dipendenti. Per farlo, però, deve anche convincersi il Governo il quale deve mettere sul piatto incentivi alle imprese per investire in innovazioni tecnologiche e sgravi fiscali concreti per i lavoratori che si impegnano in straordinari. Insomma, un tavolo che imiti almeno in parte il modello tedesco in cui Stato, aziende e lavoratori insieme remano per il bene comune.

La povertà non si combatte solo con i sussidi; la creazione di lavoro è condizione indispensabile per fornire un ascensore sociale a chi vive un periodo difficile o in un contesto complicato. Se, però, il lavoro non è sufficiente a mettere un piatto a tavola allora deve essere tutta la collettività a interrogarsi. Cosa che in Italia nessuno, ad oggi, fa.

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