Nelle democrazie attuali, un numero sempre crescente di cittadini liberi si sentono inghiottiti, spinti da una sorta di vischiosa dottrina che, insensibilmente, avvolge ogni ragionamento ribelle, lo inibisce, lo turba, lo paralizza e finisce per soffocarlo. Questa dottrina è il «pensiero unico», la sola autorizzata da un’invisibile e onnipresente polizia del pensiero. Dopo la caduta del muro di Berlino, il crollo dei regimi comunisti e la demoralizzazione del socialismo, l’arroganza, l’insolenza di questo nuovo Vangelo hanno prodotto un tale degrado che si può, senza esagerare, qualificare questo furore ideologico alla stregua di moderno dogmatismo.

Il pensiero unico è, infatti, l’assenza di differenziazione nell’ambito delle concezioni e delle idee politiche, economiche e sociali. Il relativo concetto, peraltro, venne prospettato, nel gennaio 1995, dal direttore di Le Monde Diplomatique, Ignacio Ramonet, quale «trasposizione in termini ideologici, che si pretendono universali, degli interessi di un insieme di forze economiche, e specificamente di quelle del capitale internazionale». Formulato e definito, sin dal 1944, in occasione degli accordi di Bretton-Woods, esso ha le sue fonti principali nelle grandi istituzioni economiche e monetarie, dalla banca mondiale al Fondo monetario internazionale, all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, alla Commissione europea e via continuando, che, da quando funzionano, arruolano al servizio delle proprie idee, in tutto il pianeta, numerosi centri di ricerca, università, fondazioni che, a loro volta, affinano e diffondono la «buona novella».

Naturalmente, questo discorso è ripreso e riprodotto dai maggiori organi d’informazione economica e, soprattutto, dalle «bibbie» degli investitori e delle borse, quali The Wall Street Journal, Financial Times, The Economist, Far Eastern Economic Review, les Echos, Agence Reuter e via di seguito, di cui spesso sono proprietari grandi gruppi industriali o finanziari. Col tempo, peraltro, il Vangelo del pensiero unico s’è imposto in altri settori: basti pensare, così, tanto per fare un esempio, alla sua prepotente affermazione in campo sanitario, a causa della pandemia da Coronavirus. Nella stupida incuria nella quale versava la «Sanità», era inevitabile che prima o poi dilagasse anche nel nostro Paese la «Covid 19» che, per dirla con Ambrogio Spinola, autore della «grida» 13 giugno 1630, andava ormai «serpando» da qualche tempo: era la notte del 29 gennaio 2020, quando la Covid arrivò ufficialmente in Italia.

La prima immagine fu quella di una coppia di turisti cinesi, 67 anni lui 66 lei, in ambulanza, i volti terrorizzati, già con la maschera dell’ossigeno. Dopo giorni di falsi allarmi in varie città italiane, smentite dell’Istituto Superiore di Sanità chiamato a processare i tamponi, e costanti rassicurazioni, l’allarme in Italia non c’è, arrivò la doccia fredda. Ma ancora l’Oms stentava a dichiarare l’emergenza globale. E intanto diventava chiaro a tutti che le immagini che da settimane rimbalzavano dalla Cina, con strade deserte, medici imbracati dentro tute come scafandri, sanificazioni a tappeto e mega ospedali costruiti a tempo di record, sarebbero state solo questione di tempo. Ciò che in quella fredda notte di fine gennaio ancora non si sapeva è che il virus circolava già da tempo nel nostro Paese e sarebbe esploso di lì a poco con la scoperta del paziente zero a Codogno e dei primi casi in Veneto.

Da allora, nell’Italia che precipitava inesorabilmente nell’abisso di una pandemia incontrastabile, fiorì un’alchimia perversa. Da destra a sinistra, la politica si riempiva la bocca di elogi nei confronti dei medici e degli infermieri in trincea, paladini della lotta al Coronavirus, tra mascherine centellinate durante la prima ondata, ferie e giorni di riposo saltati, la costante degli organici ridotti, salvo poi, ma questa è storia recentissima, la beffa: in 369 dall’inizio dell’emergenza sanitaria, solo per rimanere al computo dei medici, hanno perso la vita uccisi dal virus: coniugi e figli non riceveranno un euro come indennizzo. Sconfortanti, peraltro, le opinioni diffuse nell’élite colta: poco è mancato che venisse chiamato in causa anche Satana.

Del resto, l’uomo ha da sempre un potente bisogno di percepire le cause dei disastri naturali, delle epidemie, delle sventure personali e della morte; non di meno, la magia e la stregoneria hanno per secoli fornito una teoria primitiva per spiegare simili argomenti, e metodi appropriati per farvi fronte: il comportamento di persone la cui condotta differisce da quella dei loro simili, sia cadendo al di sotto degli standard del gruppo sia superandoli, costituisce in entrambi i casi un mistero e una minaccia; la nozione d’invasamento demoniaco fornisce una teoria primitiva per spiegare simili eventi, e metodi appropriati per farvi fronte. Queste credenze universali e le pratiche a esse collegate sono i materiali dai quali l’uomo costruisce i movimenti e le istituzioni sociali: le credenze che temporibus illis portarono alla caccia alle streghe esistevano prima del secolo XIII, ma fu soltanto da allora che la società europea le utilizzò quali fondamenti per un movimento organizzato; questo movimento, il cui scopo dichiarato era quello di proteggere la società dal pericolo, divenne l’Inquisizione: la strega era il pericolo; l’inquisitore il protettore.

Lungi da me, voler porre sullo stesso piano la reazione «istituzionale» alle tesi negazioniste della pericolosità estrema della Covid 19, propugnate dai movimenti cosiddetti «no vax» o «anti green pass»: non vorrei essere accusato di voler assumere la difesa di portatori d’infamia e d’ignominia stabilita e confermata. Non posso, tuttavia, per un verso, non segnalare il fatto che il modello dell’Inquisizione abbia avuto e, purtroppo, continui a esercitare, per ovvi motivi psicologici, una perenne attrattiva; mentre, per l’altro, devo anche evidenziare quanto è accaduto da quando, il 30 gennaio, a tarda sera, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciò agli italiani che il virus era in Italia; il 20 febbraio, dall’ospedale di Codogno giungeva l’esito positivo del tampone di un giovane paziente, Mattia Maestri; e, il 22 febbraio, a Vo’ Euganeo, in Veneto, si registrava anche la prima vittima. Iniziarono allora giorni interminabili, fatti di numeri, che indicano contagi, ricoveri e decessi che tragicamente si rincorrevano, dietro i quali c’erano persone, intere famiglie devastate dal virus.

Iniziava allora l’ossessiva passarella sugli schermi di esperti, spesso soi disants, che tanto ricordano gli animali cattedratici incontrati da Jacques Cujas, correva l’anno 1567, nel suo voyage in Italie: campioni garruli, «verbosi et prolixi more suo, ut solent in re facili esse multi, in difficili muti, in angusta diffusi; cuius rei ego sum optimus testis». Alla fine, peraltro, l’agnizione degli agenti satanici: il mondo dei cosiddetti «no vax», movimenti ostili a vaccini e vaccinazioni, identificato soprattutto con le sue derive più radicali e complottiste, dalle ipotesi di disegni nascosti per il controllo della popolazione a quelle su una regia sotterranea dei gruppi farmaceutici. Ma il fenomeno include, anche, gruppi o singoli che non hanno nessuna intenzione di inquadrarsi come anti-vaccinisti e motivano il proprio no ai farmaci contro la Covid 19, con appelli alla «libertà di scelta» o all’obiezione di coscienza.

A tale ultimo proposito, è dolorosamente emblematica una sgradevole vicenda che, a mio sommesso avviso, sta vedendo «vittima», e sottolineo «vittima», di un’indegna quanto squallida lapidazione virtuale, con ricadute personali e lavorative, un onesto, e sottolineo onesto, giornalista, «colpevole», per un verso, di essere figlio di un noto attore, apertamente schierato, almeno così sembra, sul fronte «no vax»; e, per l’altro, di aver postato un tweet in forma di aforisma, di massima, cioè, in cui non conta solo la brevità della forma, ma anche, per dirla con Umberto Eco, l’arguzia del contenuto: secondo la tendenza odierna, si privilegia nell’aforisma la grazia o la brillantezza, a scapito dell’accettabilità dell’asserto in termini di verità. Debbo, in proposito, qualche precisazione: gli aforismi, innanzitutto, non solo non intendono necessariamente apparire spiritosi, ma neppure offendere le opinioni correnti, quanto, piuttosto, approfondire un punto su cui tali opinioni appaiono superficiali e vanno, dunque, emendate; il concetto di verità, peraltro, è relativo alle intenzioni dell’aforista: dire che un aforisma esprime una verità significa dire che esso intende esprimere ciò che l’autore considera come vero e di cui vuole persuadere i lettori.

Nel caso qui considerato, la verità dell’aforista, il quale, resosi conto del concreto pericolo di essere maliziosamente equivocato, non solo ha rimosso immediatamente il tweet ma ha anche spiegato che il suo «era un semplice parallelismo, espresso in modo icastico ed evidentemente infelice, tra la forza simbolica dei camion di Bergamo, che hanno avuto il merito di aprire gli occhi anche ai più scettici che negavano la gravità della pandemia, e le immagini della ricerca del corpo dell’onorevole Moro nel lago della Duchessa che convinsero l’opinione pubblica ad accettare l’ineluttabilità del destino di Moro», sembra non interessare nessuno. Men che meno quei «sepolcri imbiancati» che, a giorni alterni, magari per volgari ragioni di marketing, posano a campioni di garantismo, mentre sono intimamente squallidi cacciatori di streghe.

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Giusfilosofo e magistrato in pensione