Letture
Lo scaffale
Moro, il politico dei tempi nuovi. Statista prudente ma innovatore
Il saggio di Angelo Picariello ripercorre la vita e il pensiero dello storico leader Dc. Restituisce centralità all’uomo, oltre la cronaca del tragico epilogo del sequestro

La letteratura politica sulla figura di Aldo Moro è ormai molto vasta e accurata, ricca di testimonianze dirette come di acuti studi sulle opere dello statista democristiano; eppure più si scava, più suggestioni si trovano. E in questo senso il libro di Angelo Picariello, ottimo giornalista di Avvenire, è senz’altro da leggere: in questo “Liberiamo Moro dal caso Moro” (ed. San Paolo, con una bellissima prefazione del cardinale Matteo Zuppi) si trova una ricca ricostruzione certamente del grande uomo politico ma anche, semplicemente, del grande uomo.
Tutte le tappe di Aldo Moro
Picariello racconta il Moro giovane, poi il suo ingresso in politica, la Costituente, il professore, il governo, la Dc. Insomma, tutte le tappe di una “carriera” che, se dovessimo interpretare questo saggio, fu all’insegna di due parole: i «tempi nuovi». La sfida intellettuale e morale – secondo l’espressione di Gramsci – del leader democristiano fu infatti sempre nel suo porsi, diremmo, faccia a faccia con i “tempi nuovi” che sempre incalzano la storia e le istituzioni e spesso con una velocità che la politica non sa capire. Per questo la vulgata di un Moro lento, contorto, “levantino” è profondamente sbagliata e irrispettosa dei fatti. Confondere la prudenza con la lentezza, la complessità del ragionamento con la formalità dell’arzigogolo, la tensione all’intesa politica con il pasticcio di potere, persino l’eloquio forbito con una voluta oscurità dei concetti, tutto questo costituisce un grande errore che la politica a lui coeva ha compiuto giudicando Moro ma che da anni la politologia ha corretto.
Le lezioni di Aldo Moro all’Università di Roma
Si prenda – e questa forse è la parte più bella del saggio di Picariello – tutto il racconto del Moro professore di Diritto all’Università di Roma, le sue lezioni rispettate con una puntualità sorprendente per un uomo così impegnato o ancora il suo rapporto con le varie formazioni di giovani cattolici, in particolare Comunione e Liberazione: lì si nota nitidamente il politico che vede appunto l’avanzare di tempi nuovi incarnati dalle giovani generazioni e che intuisce che la Storia sta tumultuosamente cambiando direzione non si sa verso quali nuovi orizzonti. Pare chinarsi con modestia intellettuale, Moro, verso qualcosa che è estranea al suo mondo, alla sua cultura, ed è lo stesso atteggiamento mentale che ha nel tentare di comprendere le grandi novità sulla scena mondiale, lui ministro degli Esteri durante gli accordi di Helsinki o protagonista di momenti cruciali della guerra mediorientale. Il tutto non senza angoscia, se è il caso.
In quello che forse è stato il suo ultimissimo incontro pubblico prima del 26 marzo 1978, all’Hotel Carlton di Bologna, ripensando alla famosa foto del giovane autonomo che prende la mira con la P38, l’allora presidente della Dc ebbe a dire: «I giovani hanno diritto di coltivare idee rivoluzionarie. Ma immagini come queste denotano che non c’è più fiducia in loro di poter cambiare le cose con la democrazia». È il Moro che sta affrontando la sua ultima sfida politica, l’incontro con i comunisti con questa angoscia persino esistenziale sulla crisi della democrazia italiana. È dunque nello sforzo di portare dentro i tempi nuovi, in un colpo solo per quanto complesso, il partito della Democrazia cristiana, le masse cattoliche, le forze democratiche nel loro insieme, ed è dunque un Moro “costruttore” di una “casa” dove ognuno possa stare con le proprie idee – fu questa la sua idea di Costituzione “non ideologica” ma antifascista sì – e di equilibri politici sempre più avanzati.
Torniamo a sottolineare che il libro di Picariello emoziona per la centralità che offre all’uomo Aldo Moro nell’intreccio indissolubile con il politico Aldo Moro. Ricorda Clemente Mastella, all’epoca giovanissimo, il presidente della Dc tenere un forte discorso, identitario e di apertura al tempo stesso, a Benevento il 18 novembre 1977: «Fu davvero un gran discorso, Moro ne fu rinfrancato. Poi andammo tutti a cena e ci fu un episodio toccante. Vidi che si mise in tasca dei torroncini tipici di Benevento che servivano a tavola. Mi disse che erano per il nipotino Luca, gli assicurai che avremmo pensato noi di fargliene dono. Alle premure per il piccolo Luca, Moro dedicherà una delle lettere più struggenti dalla prigionia».
Siamo all’ultimo capitolo, al “caso Moro“. Che volutamente non è il più importante di questo bel saggio: «Guardando a Moro senza fermarsi ai cinquantacinque giorni della prigionia – scrive il cardinale Zuppi –vediamo con chiarezza di che cosa è carente la politica, e non solo nel nostro Paese: c’è bisogno di una “visione” e non di un cristianesimo professato solo a parole ma di cristiani capaci di testimoniarlo nei fatti». Vale per i cattolici e, aggiungeremmo, vale per i laici.
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