“Fra la vita di una ragazza di vent’anni e le sue attività illecite, Rajab Abdulaziz ha scelto queste ultime”. Con queste parole, il tribunale del Riesame ha confermato la reclusione di Rajab Abdulaziz, siriano classe 1957, accusato di omicidio volontario e omissione di soccorso per la morte di Maddalena Urbani, la 21enne morta per una “intossicazione acuta da metadone, benzotiazepine e cocaina”. La ragazza è deceduta nell’appartamento di Rajab, in via Vibo Mariano, dalle parti di via Cassia, lo scorso 27 marzo.
Per i giudici, quindi, non ci sono dubbi: Rajab ha scelto di non chiamare i soccorsi. Il siriano è ora accusato di omicidio volontario. Cade così anche anche la richiesta dell’avvocato di Rajab, che riteneva invece che il suo assistito avesse commesso un omicidio colposo.
La sentenza
Secondo gli inquirenti, come riporta la Repubblica, il siriano ha deliberatamente scelto di non chiamare i soccorsi temendo di finire in carcere per aver violato le regole imposte dalla detenzione domiciliare. Una tesi che il procuratore aggiunto Nunzia D’Elia ha sostenuto in aula in prima persona, davanti ai giudici del Riesame, durante la sua ultima udienza prima di andare a ricoprire l’incarico di procuratore generale presso la corte d’appello.
L’ordinanza è stata notificata a Rajab lo scorso 10 luglio, quando era già in carcere. Il siriano è nell’istituto penitenziario di Regina Coeli da quando Maddalena Urbani è morta nel suo appartamento. All’uomo è stata revocata la misura cautelare dei domiciliari, quando alcune dosi di eroina, metadone e psicofarmaci sono state trovate in casa sua dai poliziotti che indagano sul delitto.
Indagata anche una amica di Maddalena
Anche a Kaoula El Haouzi, amica di Maddalena, è contestato il reato di omissione di soccorso. La ragazza di 23 anni ora è indagata, a piede libero. Secondo le ricostruzioni, riporta il quotidiano, i due indagati hanno omesso “di fare pervenire tempestive e adeguati soccorsi sanitari, in particolare il servizio 118, che avrebbero consentito di evitare l’evento letale, nonostante la sintomatologia di intossicazione o comunque di severo malessere si fossero manifestate già nelle ore serali del precedente giorno”.
La vicenda
I fatti risalgono appunto al 27 marzo quando, su segnalazione del 118, il corpo ormai senza vita di Maddalena viene trovato all’interno di un appartamento fatiscente a Roma, in zona Cassia, occupato da Rajab, già agli arresti domiciliari per spaccio di stupefacenti.
A uccidere la ragazza, secondo i primi accertamenti, un abuso di oppiacei. La perquisizione effettuata successivamente porta al rinvenimento di alcune dosi di eroina, metadone e psicofarmaci: “il tutto a riprova – secondo gli investigatori – che il siriano, nonostante la misura restrittiva, continuava il suo spaccio di droga”.
L’uomo, subito arrestato, è condotto nel carcere di Regina Coeli. Le indagini della Polizia, oltre a escludere una violenza sessuale, hanno poi fatto luce sui loro rapporti: Maddalena conosceva già l’uomo, registrato nella rubrica del suo telefono come “Zio Cassi”. Anche il siriano aveva nome e indirizzo di Perugia, dove la giovane viveva, sulla sua agenda.
A chiamare il 118 quel giorno era stata la sua amica, che aveva conosciuto Maddalena circa un mese prima a Perugia. Insieme si erano recate a Roma il 26 marzo. La testimone ha riferito alla polizia che Maddalena si era sentita male quel pomeriggio a causa dell’alcol, ma che una volta a casa del siriano si era invece ripresa. Secondo la sua testimonianza, dopo aver dormito tutta la notte, era uscita per fare la spesa. Una volta rientrata all’ora di pranzo si era resa conto che Maddalena non respirava più.
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