Diciamoci la verità, seppur senza supponenza e alcuna polemica. Ci sono alcuni tasselli che caratterizzano la presenza di un partito – o di quel che resta dei partiti – nel sistema politico italiano. E, per fermarsi all’esperienza del Partito democratico, i tre elementi essenziali sono e restano: vocazione maggioritaria del partito, pluralismo culturale interno e cifra riformista. Tre tasselli, appunto, decisivi e cruciali che qualificano l’identità, il ruolo e la stessa “mission” di quel partito. Tre aspetti che hanno segnato la prima segreteria di Veltroni, la più coerente e la più incisiva sotto questo versante e che è stata ripresa durante la gestione politica di Matteo Renzi. Le molte altre segreterie, seppur tra alti e bassi, non sempre sono riuscite a centrare questi tre obiettivi. Anzi, il più delle volte se ne esaltava uno a detrimento dell’altro e viceversa. Ma, per fermarsi all’oggi, non possiamo non registrare che i tre cardini attorno ai quali è decollata l’esperienza concreta del Pd nella cittadella politica italiana nel lontano 2007 non godono affatto di buona salute. Anzi, sono parecchio acciaccati.

Del resto, non poteva che essere così. Perché quando il principale partito della sinistra italiana assume i connotati di un soggetto politico radicale, massimalista e culturalmente libertario, è abbastanza evidente che si entra in palese conflitto con quelle tre caratteristiche. Tre tasselli che quando vanno in crisi inesorabilmente contribuiscono a far riemergere i vecchi vizi e gli antichi tic di quello che comunemente viene definita come la “ditta” o, per restare all’attualità, come un misto di permanente assemblea studentesca accompagnata da logore e anche po’ noiose, nonché datate, parole d’ordine di stampo ideologico. Per fare tre soli esempi attorno a quei caposaldi, è appena sufficiente registrare ciò che capita concretamente nel Pd. La vocazione maggioritaria, di fatto, viene sacrificata sull’altare della riaffermazione di una visone ancorata alla sinistra radicale e massimalista. È evidente che, con un approccio del genere si rinuncia, pregiudizialmente, a rappresentare ampi settori della società italiana ponendosi l’obiettivo, persin troppo palese, di farsi carico delle attese e delle domande – seppur legittime e fondate – di una porzione ristretta del paese. Con tanti saluti, di conseguenza, a quella storica e sbandierata “vocazione maggioritaria” del partito.

Sul pluralismo interno al Pd, è stata significativa e persino istruttiva la recente riunione della corrente popolare del Pd guidata dal duo Delrio/Castagnetti. Perché il Pd è nato, come quasi tutti sanno, dalla naturale confluenza del pensiero della sinistra democratica ex e post comunista con la cultura cattolico popolare e sociale interpretata e rappresentata da Franco Marini e da molti altri esponenti della ex sinistra democristiana. Più altri movimenti e gruppi politici vari dell’area laica, socialista e ambientalista. Ma, per fermarsi al filone cattolico democratico e popolare, è stato emblematico – se non anche un po’ imbarazzante…- la recente richiesta dei vertici di quella piccola corrente all’interno del partito della Schlein di poter essere cooptati almeno all’interno della segreteria del partito. Insomma, uno dei filoni culturali decisivi per l’identità e il progetto complessivo del partito che chiede, pubblicamente, alla segretaria nazionale un piccolo posto come premio per la fedeltà al partito… Credo che qualsiasi altra considerazione, al riguardo, sul pluralismo culturale all’interno del partito, sia del tutto superflua. E in ultimo, ma non per ordine di importanza, il progetto riformista e di governo del Pd.

Ora, se l’alleato principale per declinare una vera ricetta riformista è individuato nel partito populista, anti politico e demagogico per eccellenza, cioè i 5 stelle, è abbastanza evidente che tutto ciò che si continua a predicare pubblicamente viene sistematicamente smentito nella concreta prassi politica quotidiana. Ecco perché, quando oggi si parla della concreta esperienza politica del Partito democratico, non possiamo non prendere atto che il contesto politico complessivo è cambiato radicalmente. Con buona pace di chi continua a vagheggiare e a parlare di vocazione maggioritaria, di pluralismo culturale interno e di ricetta riformista.