«Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio». Al Napoli devono aver riletto di recente Finale di partita, perché contro il Sassuolo abbiamo assistito a un capolavoro dell’assurdo. Il pareggio regalato a tempo scaduto è solo l’ultimo episodio di una lunga serie di docili suicidi sportivi che condannano la squadra a un’amara terra di mezzo, lontana cinque punti sia dalla Champions che da un malinconico ottavo posto. De Laurentiis e Gattuso sembrano Hamm e Clov, i malconci protagonisti del capolavoro di Beckett, diversi in tutto e in perenne litigio, ma condannati senza plausibili ragioni a rimanere insieme fino alla fine del dramma. Al sipario, però, mancano ancora molti mesi e quest’impossibile convivenza rischia di lasciare macerie sportive e finanziarie.

Del resto, a Napoli sappiamo bene che il tempo sospeso può fare molti danni, come la vicenda di Bagnoli ci insegna. Otto anni dopo l’incendio di Città della Scienza, le pietre annerite sono ancora lì, in attesa di conoscere il loro destino. Trent’anni dopo la dismissione dello stabilimento siderurgico, la terra è sempre da bonificare e la colmata perennemente in attesa che qualcuno si occupi di lei, mentre la città finge disinteresse per non morire di collera e di vergogna. Il surrealismo è la cifra estetica della politica napoletana del ventunesimo secolo. De Magistris, ormai SaD (Sindaco a Distanza), stigmatizza gli assembramenti in città senza aver fatto nulla per impedirli, cancella in autotutela la “liberazione pedonale” di Chiaia dopo quella del lungomare, e seppellisce Napoli, autoproclamata “capitale mondiale dei trasporti”, sotto il peso del disastro di bus e metro e dell’interruzione di gallerie e vie di comunicazione vitali per la città. Il tutto promuovendo, novello Pisacane, un’altra rivoluzione in Calabria. Beckett non avrebbe potuto fare meglio.

Anche qui, però, occorre attendere. Il finale di partita delle amministrative è rimandato a ottobre perché grande è la confusione di candidati sotto il cielo, ma la situazione non è eccellente ed è meglio prendere tempo e vedere l’effetto che fa. Una (in)decisione che pesa quasi come una condanna anticipata alla mediocrità, mentre città e club continuano ad aspettare Godot sotto la fermata di un tram che non passa mai, oscillando tra due diversi scetticismi. Molti storcono giustamente il naso di fronte al nuovismo della costruzione dal basso di Italiano e Clemente, sublimazione di provincialismo e nozze con i fichi secchi. Altri temono la delusione del ritorno al passato, all’impossibile replay del tiki taka di Sarri e del passo dopo passo di Bassolino.

Altro timore comprensibile, ma non è affatto detto che i ritorni falliscano sotto il peso di quella che Nietzsche chiamava l’eterna circolarità del tempo. Ciò che davvero conta è la discontinuità rispetto al terribile e approssimativo presente, tema che non si esaurisce in una carta d’identità e che chiama in causa una visione manageriale moderna e progetti seri di trasformazione di squadra e città, su scala metropolitana e internazionale.