Calcio e politica
Da De Laurentiis a De Magistris, il fallimento del Napoli è quello della città
Si era partiti con uno scatto cinematografico. Una posa di quelle care al presidente Aurelio De Laurentiis, patron – prima che nel calcio con la SSC Napoli – della Filmauro. Nella foto, con le mani a imitare pistole, alla 007, il presidente e il nuovo allenatore azzurro Carlo Ancelotti, spalla contro spalla. Era il maggio del 2018 e doveva essere l’inizio di una nuova era del Napoli e di Napoli. Un’era finalmente vincente. E speculare rispetto a quella velleitaria di De Magistris, il sindaco con la bandana che aveva promesso di cambiare la città da così a così. E invece Napoli è rimasta intrappolata nel traffico, nei debiti e nella precarietà, mentre la squadra è implosa con l’ammutinamento dei calciatori, il crollo in classifica e il “vaffa” dei tifosi. Due modelli alternativi, due fallimenti. Napoli riuscirà a trovare una terza via per uscire dal vicolo cieco in cui si è cacciata?
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Ancelotti doveva portare definitivamente il Napoli a una dimensione internazionale. L’ingaggio di uno dei tecnici più vincenti del calcio moderno passò perciò come una sorta di viatico per il successo. Il rapporto tra l’allenatore e il presidente si palesò dal primo momento come una sorta di idillio tra partite a carte in ritiro, dichiarazioni quasi d’amore, vacanze con rispettive consorti a Capri. E invece il cosiddetto calcio liquido proposto da Ancelotti nella piazza partenopea non ha attecchito. I risultati della seconda stagione hanno portato a un progressivo logoramento dell’ambiente dentro e attorno alla squadra. Il 4 novembre, addirittura, la rivolta: i giocatori si sono rifiutati di tornare in ritiro come imposto dalla società. Anche per effetto di questo clima il Napoli non ha vinto per 48 giorni di seguito. Nel frattempo la vetta della Serie A si è allontanata 17 punti e la zona Champions di otto. Ad avvalorare la crisi anche il dato che vede il Napoli nell’anno solare 2019 soltanto settimo in classifica.
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Paradossale è che l’epilogo della storia sia arrivato dopo il 4 a 0 ai danni dei belgi del Genk e il raggiungimento del primo obiettivo stagionale: la qualificazione agli ottavi di Champions che ha fruttato alle casse del club oltre 58 milioni di euro. Troppo tardi ormai per Ancelotti. Al suo posto c’è Gattuso, “Ringhio Star”, come il presidente ha chiamato il nuovo allenatore. Mentre restano uno spogliatoio frammentato in non si sa più quante fazioni e una società – ecco il modello De Laurentiis – convinta di poter risolvere tutto in famiglia, in modo verticistico, controllando ossessivamente tutto e tutti, con piglio autoritario e una tracimante dose di arroganza. L’ultimo esempio, dopo le rivelazioni sul contratto da Grande Fratello di Ancelotti? Proprio due giorni fa, in conferenza stampa, irritato dall’intervento di un giornalista del Corriere dello Sport, De Laurentiis ha replicato storpiando il nome del vicedirettore di quella testata. E così Barbano è diventato Bàrbano, “o come cazzo si chiama…”. Ma il modello ADL scivola non solo in campo ma a quanto pare anche sulle cifre nel bilancio. Come fa notare Marco Bellinazzo su Il Sole 24 Ore, la società soffre uno squilibrio strutturale tra entrate e uscite di circa 70 milioni.
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