Ha ragione Antonio Gialatella, l’avvocato generale dello Stato intervistato ieri da Repubblica. Ecco cosa ha detto a proposito dei due uomini morti a Pianura, travolti da una improvviso cedimento del terreno mentre stavano costruendo una casa “fuori legge“, cioè senza autorizzazione, senza misure di sicurezza e molto probabilmente anche senza un progetto degno di questo nome. “Sento dire – ha commentato – che quelle due povere vittime sono morte a causa di una frana. Ma non è così. È stata la devastazione del territorio ad ucciderli”. Gialatella lavora da anni al fianco di Luigi Riello, il procuratore generale, e si occupa specificamente di contrasto all’abusivismo edilizio. Parla dunque con cognizione di causa. E tuttavia credo semplifichi un po’ troppo, quando, dopo aver detto quello che ha detto, ha provato, da un lato, a drammatizzare evocando la camorra come motore unico di questo fenomeno, e, dall’altro, a tranquillizzare citando l’azione incalzante della magistratura.

Se c’è la camorra, se questa, come ci viene spiegato, “sa adattarsi ai contesti che mutano”, è difficile credere che l’azione della magistratura sia effettivamente come viene descritta. Sarà incalzante. Ma continua ad essere insufficiente. Le due cose – la giustizia vigile, il territorio nell’ombra – non stanno insieme. Certo, nel mezzo c’è la latitanza del Comune e degli altri Palazzi competenti, e ci sono tutta una serie di difficoltà conseguenti: i bilanci in rosso che non consentono gli abbattimenti, la legislazione contraddittoria, le procedure complesse e, non per ultimi, gli interessi elettorali che spingono a occuparsi d’altro. Ma detto questo, quando il risultato è la morte di due operai, tra cui un dipendente dell’Asìa e un immigrato che lavorava al nero, è evidente che nessun pezzo dello Stato può tirarsi fuori. Pianura è un quartiere simbolo. È l’altra faccia di Chiaia o Posillipo, nel senso che merita attenzione proprio perché è quella meno esposta, meno nota, meno frequentata dai turisti. E se c’è un luogo in cui anche un solo nuovo mattone abusivo può costituire una sfida allo Stato, alla sua capacità di tutelare il territorio, è proprio questo.

A Pianura, devastata da una cementificazione durata decenni, sono caduti tutti gli alibi della sinistra che ha governato a più riprese la città. A metà degli anni Settanta, questa stessa sinistra che continuava a raccontare ciò che era stato fatto nel periodo laurino; che denunciava indignata trame e interessi oscuri; che indicava a uno a uno gli scempi e i “mostri” di quel tempo; e che si emozionava davanti alle scene di un film come Le mani sulla città; questa stessa sinistra non è mai scesa in piazza, né si è davvero indignata, per impedire ciò che nel frattempo stava succedendo nella realtà, davanti ai suoi occhi: la costruzione di un intero quartiere abusivo che solo successivamente e a fatica ha cercato di allinearsi ai parametri di legge e di darsi un minimo di servizi essenziali. Ancora oggi, qual è il livello di attenzione dedicato a queste aree della città?

E, più in generale, che fine ha fatto la centralità della questione abitativa nei programmi presenti e futuri delle forze politiche? In altre città, l’emergenza socio-sanitaria ha suggerito alle amministrazioni locali di ripensare l’intero assetto urbanistico, a partire proprio dal problema delle residenze popolari. A Napoli, invece, stiamo ancora parlando di movida, se limitarla e come. O se utilizzare altri spazi intonsi per “aprire” la città, per decongestionare le aree più affollate e trasferire una parte dei flussi altrove. Abbiamo pensato che anche la movida potesse essere un modo per rompere il ghiaccio e favorire un dibattito pubblico dedicato alla città. Ma neanche su questo si fanno passi avanti.