I venti di guerra soffiano tragici in Ucraina, e le armi prendono il posto della diplomazia e della ragione. A Napoli, come in tante altre città europee, centinaia di persone sono scese in piazza invocando la pace mentre un senso di incredulità attraversa l’Europa. Chi credeva che nel ventunesimo secolo non fosse più possibile concepire un conflitto armato nel cuore dell’Europa ha dovuto ricredersi. Il lungo, e a oggi solo militarmente sopito, conflitto nei Balcani a cavallo degli anni duemila era stato un grave indizio che la storia non era affatto finita, come sostenuto con troppo ottimismo da Fukuyama; la guerra in Ucraina ne è la più tragica delle conferme.

Il Napoli di Luciano Spalletti si è scoperto, invece, sciaguratamente disarmato nel momento chiave della stagione. Contro i guastatori cagliaritani di Walter Mazzarri, il colpo di testa imperioso di Victor Osimhen aveva evitato una sconfitta che sarebbe stata più che meritata. Contro il Barcellona, rilanciato alla grande dal nuovo allenatore Xavi e da un sontuoso mercato invernale, è stata invece una disfatta solo parzialmente mascherata da un punteggio, il 2 a 4, che non racconta adeguatamente l’enorme differenza di valori che si è vista in campo. Il Napoli è evaporato come docile nebbiolina al sole di fronte alla qualità del palleggio azulgrana, a cui ha voluto fare omaggio di penosi tentativi di costruzione dal basso che avrebbero potuto provocare una goleada già nel primo tempo. Gli attaccanti del Barcellona, però, hanno confermato di essere piuttosto sciuponi sotto porta, e la difesa di Xavi non particolarmente ermetica. Così i due gol napoletani hanno tramutato in una onorevole sconfitta quella che è stata un’indubbia umiliazione tecnica sul campo.

Un brutto scherzo di carnevale per i tifosi azzurri, che avevano gremito in ogni ordine di posti sia il settore ospiti a Cagliari che il Maradona. Ma non certo un esito imprevedibile, perché nei secondi tempi contro Inter e Barcellona si era già visto un Napoli in affanno. Gli infortuni muscolari, che non danno tregua agli azzurri, hanno caricato un peso che si è rivelato alla lunga eccessivo sulle seconde linee azzurre. Vedere la distanza tecnica e mentale tra Demme e Pedri, ultimo ennesimo gioiello canterano della Masìa del Barcellona, vale più di tanti ragionamenti.

Il Napoli rimane un’ottima squadra ma la differenza con l’élite del calcio europeo è apparsa ancora una volta evidente, e senza una crescita della società sportiva – in termini di fatturato, infrastrutture, centro giovanile, organizzazione manageriale internazionale – è destinata ad aumentare. Fenomeno che, peraltro, riguarda tutto il calcio italiano, sempre più periferia d’Europa. Un destino che rischia di accomunare la squadra alla città, impegnata in un’assurda diatriba sulla malamovida e nell’eterno dibattito sulla colmata a mare mentre le risorse del Pnrr rischiano di scorrere via.