Garantisti a parole, manettari negli atti concreti. Al di là infatti dei discorsi e delle linee programmatiche del Guardasigilli Carlo Nordio, che ha promesso di intervenire sulle storture del sistema giustizia italiano, dalla separazione delle carriere alle intercettazioni, dall’obbligatorietà dell’azione penale alla revisione di reati come abuso d’ufficio e traffico di influenze, il governo Meloni resta vicinissimo alle posizioni di 5 Stelle e Travaglio sulle carceri.

Lo dimostra la scelta, nonostante istituti di reclusione e scoppiano (55mila circa i detenuti) e il numero record di suicidi, di far tornare in carcere a fine dicembre circa 400 persone che dal 2020 erano fuori a causa della pandemia Covid e del sovraffollamento, grazie ai due decreti Ristori e Milleproroghe.

A scriverlo oggi è Repubblica: i detenuti, nessuno condannato per reati gravi, avevano goduto dei domiciliari perché dovevano scontare una pena inferiore ai 18 mesi, erano già stati ammessi al lavoro esterno o alla semilibertà per permessi premio.

La novità, un vero e proprio schiaffo in faccia ai garantisti che pure avevano creduto alle promesse in tal senso del ministro della Giustizia Nordio, arriva all’interno del discusso decreto Rave. Il provvedimento, che vara un discutibile pugno duro contro questo tipo di eventi che diventano un reato con pena massima di 6 anni, dando il là paradossalmente all’utilizzo delle intercettazioni che Nordio vorrebbe limitare, non prevede di mantenere questa misura di civiltà nei confronti dei detenuti.

Si conferma così la “dottrina Meloni” sulla giustizia: garantismo durante il processo, ma a condanna decisa giustizialismo nello scontare la pena.

A chiedere di mantenere il provvedimento inserito nei decreti Ristori e Milleproroghe erano stati alcuni parlamentari del Partito Democratico, ma dalla maggioranza sono arrivate sonore bocciature. Tanto da far sbottare il senatore Dem Andrea Giorgis: “Dal giorno della loro introduzione, non risulta che queste misure abbiano prodotto alcun allarme sociale o che vi siano stati casi di revoca per condotte illecite da parte dei detenuti che ne hanno beneficiato. Se è così, se si tratta di misure che hanno dato buona prova di sé, perché non renderle strutturali o perlomeno prorogarle ulteriormente? Perché al prossimo 31 dicembre dovrebbero venire meno?”, le sue parole al Senato mentre si votava sul dl Rave.

In una nota Giorgis e Walter Verini, primi firmatari degli emendamenti bocciati, accusano frontalmente la scelta dell’esecutivo, garantista in questo caso solo a parole: “È grave, è incomprensibile che governo e maggioranza abbiano bocciato gli emendamenti del Pd che chiedevano di far proseguire le norme, adottate durante il Covid, che hanno consentito fin qui ai detenuti che già erano in semilibertà o erano ammessi al lavoro esterno e per questo uscivano dal carcere per lavorare, di rimanere a dormire nel proprio domicilio, in comunità. Senza tornare a dormire in carcere, evitando rischi di portare contagio all’interno degli istituti”.

Queste norme – aggiungono Giorgis e Verini- insieme a quelle che consentono ai detenuti con un fine pena inferiore si diciotto mesi di accedere alla detenzione domiciliare (se non avevano commesso delitti indicati dall’ 4bis legge 354/75 e dagli art. 572 e 612 bis) scadranno tra 18 giorni e circa 350 persone, di fatto recuperate e riabilitate, che non hanno in questo periodo violato alcuna regola di buona condotta, dovranno tornare la sera in carcere“. “È una scelta incredibile – concludono i senatori Pd – che aggrava anche la pesante situazione di sovraffollamento. Chiediamo perciò al ministro Nordio di intervenire subito, di adottare un provvedimento urgente utile a proseguire la semilibertà fuori del carcere“.

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Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia