Il dialogo
Nucleare, i negoziati tra Stati Uniti e Iran si arenano a Roma. Trump torna sui suoi passi, Khamenei prende tempo

Anche il quinto round dei colloqui sul nucleare tra Stati Uniti e Iran, che si sono tenuti ieri a Roma, si è concluso con un nulla di fatto. I colloqui sono durati appena tre ore perché, come era prevedibile, si sono arenati sullo scoglio che pare insormontabile dello stop dell’arricchimento dell’uranio anche per uso civile e del rifiuto di Teheran di spedire all’estero l’intera scorta di uranio altamente arricchito, condizione questa necessaria per dar prova della propria attendibilità riguardo alla rinuncia della prospettiva di costruzione dell’arma atomica. Inoltre a bloccare il negoziato vi è stato anche lo stop richiesto dagli Usa al programma di produzione di missili balistici a cui la Repubblica islamica non vuole assolutamente rinunciare. In un post sul suo account X, il ministro degli Esteri dell’Oman, Badr al-Busaidi, che è il mediatore di questi negoziati, ha espresso la speranza che tali questioni, rimaste in sospeso, saranno affrontate nei prossimi giorni “per consentire di procedere verso l’obiettivo comune di raggiungere un accordo sostenibile e onorevole”. Ma a conferma del fatto che si è ancora in alto mare è che non è stato fissato alcun appuntamento per un sesto round di colloqui.
Strada in salita
La strada dunque è tutta in salita e la conferma del fatto che gli Usa ora sono più pessimisti circa la possibilità di raggiungere entro breve tempo un accordo, si è avuta quando il capo negoziatore statunitense Steve Witkoff ha abbandonato la sede anzitempo, ufficialmente a causa di problemi insorti per il suo volo, ma secondo indiscrezioni stampa l’abbandono era a causa di incomprensioni e disaccordi. Poche ore prima di partecipare alla riunione del quinto round di colloqui, Witkoff aveva incontrato a Roma il ministro israeliano per gli affari strategici Ron Dermer e il capo del Mossad David Barnea. La Repubblica islamica vuole prendere tempo, questo è il suo piano per superare un momento difficile per poi tornare ad arricchire l’uranio come è da sempre previsto nella sua dottrina militare e non intende nemmeno rinunciare al suo programma missilistico né al sostegno ai gruppi fondamentalisti suoi alleati. Non a caso è di nuovo impegnata a ricostruire le sue diramazioni nella regione con il “Fronte di resistenza islamica “Uli al-Bas”, un gruppo islamista attivo in Siria vicino al leader supremo Khamenei che assieme alla minoranza alawita sta consolidando la sua presenza nel territorio siriano con l’obiettivo di combattere la nuova amministrazione di Damasco posizionandosi come parte dell’asse della resistenza.
Le ragioni
La guida suprema iraniana, Khamenei, cerca di giocare di astuzia con Trump prendendo tempo, mandando avanti a trattare i suoi legionari, mentre lui in patria lancia strali contro Washington, dicendo che non si piegherà mai ai ricatti e alle minacce americane e che la produzione del nucleare per scopi civili è un diritto non negoziabile e che rispetterà il Trattato di non proliferazione nucleare di cui è firmataria. Gli Usa sembravano disposti a concedere all’Iran la possibilità di arricchire l’Uranio al massimo al 3,67% per consentirne l’utilizzo civile, condizione questa già prevista dal vecchio accordo del 2015 stipulato con Obama e dal quale Trump si era ritirato nel 2018. Ma su pressione del Congresso e avendo svelato il bluff di Khamenei, Trump sembra esser tornato sui suoi passi e non intenderebbe consentire all’Iran di sviluppare alcun programma: né civile né militare. Anche perché mentre Teheran da un lato sostiene che dotarsi dell’arma atomica è contro i princìpi dello sciismo, al tempo stesso ha già provveduto ad arricchire l’Uranio all’60%. La Repubblica islamica sta attraversando una fase di massima debolezza e di insuccessi sia in politica interna che estera. L’unica chance che ha Khamenei per rimanere al potere è firmare con gli americani un accordo morbido simile a quello del 2015 per vedersi cancellare le sanzioni. Intanto, secondo indiscrezioni di diversi organi di stampa iraniani, Trump starebbe sondando più canali di dialogo con l’Iran: parallelamente a quello ufficiale che alternativamente si tiene a Muskat e a Roma, vi sarebbe un canale aperto con la branca dominante dei potenti guardiani della rivoluzione con l’ambiguo e potente generale Ali Shamkhani, ex segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale dell’Iran. Intanto, Israele si prepara a un rapido attacco agli impianti nucleari iraniani se i colloqui dovessero fallire.
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