La trattativa
Nucleare Usa-Iran, nuovo round a Roma: Khamenei punta a quello “civile”, Washington apre uno spiraglio?
Witkoff aveva annunciato che non avrebbe accettato nemmeno un arricchimento all’1%. Il ministro degli Esteri di Teheran ha risposto: “Continueremo con o senza accordo”

Washington non vuole che l’Iran sviluppi alcun programma nucleare, anche civile, ma Khamenei rimane fermo sull’arricchimento e non ha altra scelta: deve portare a casa un accordo con gli americani che non sia umiliante e che possa preservare il diritto di avere almeno il nucleare civile per poi sviluppare quello militare. Teme la perdita del potere e del suo ruolo di guida spirituale che pensa di affidare al suo secondogenito Mojtaba, inviso alla corrente più moderata dei pasdaran.
Per Khamenei accettare un accordo che impedisca di arricchire l’uranio anche per uso civile segnerebbe la sua fine. Sotto la sua guida la Repubblica islamica ha già perso le proprie ramificazioni in Medio Oriente e ora subirebbe un’ulteriore umiliazione da parte americana dopo le sue roboanti dichiarazioni sul proseguimento del programma di sviluppo del nucleare “senza il permesso di nessuno”. Una branca dei pasdaran più intransigente non accetterebbe mai questa condizione e cercherebbe di approfittare di un momento di massima debolezza di Khamenei per liberarsene e insediare al suo posto un loro fedelissimo. Mentre una corrente più pragmatica dei guardiani della rivoluzione starebbe trattando con Washington. Sarebbero addirittura in corso colloqui sullo sfruttamento delle risorse energetiche e minerarie del paese. Emergono alcuni aspetti interessanti nel tentativo negoziale tra Stati Uniti e Iran sul nucleare iraniano, mentre il quinto round di colloqui tra Washington e Teheran si terrà a Roma questo venerdì, 23 maggio, come ha scritto sul suo account “X” il ministro degli Esteri dell’Oman Badr al-Bussaidi che sta mediando il negoziato.
Intanto il ministro degli Esteri iraniano Araghchi dichiara che “l’arricchimento dell’uranio in Iran continuerà, con o senza accordo”, in risposta all’inviato del presidente Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff, che aveva annunciato che gli Usa non avrebbero accettato per l’Iran nemmeno un arricchimento all’1%. La Repubblica islamica vuole assolutamente conservare la capacità di sviluppare il suo programma nucleare perché ritenuto asset fondamentale per attuare la dottrina khomeinista di dominio nella regione e di egemonia nel mondo islamico col ripristino di tutti i luoghi sacri dell’Islam sotto la fede sciita. Vitale per la creazione di una forte deterrenza, indispensabile per espellere dalla regione quello che viene definito con il termine di “nemico sionista” (Israele), considerato un corpo estraneo in quell’area che dovrà vedere l’affermazione dello sciismo considerato l’Islam puro che, con l’arrivo del Madhi, il Salvatore, dovrà dominare il mondo.
Khamenei cerca di giocare di astuzia con Trump prendendo tempo, mandando avanti a trattare i suoi emissari, mentre lui in patria lancia strali contro Washington, dicendo che non si piegherà mai ai ricatti e alle minacce americane e che la produzione del nucleare per scopi civili è un diritto non negoziabile e che rispetterà il Trattato di non proliferazione nucleare di cui l’Iran è firmatario. Gli Usa sembravano disposti a concedere a Teheran la possibilità di arricchire l’Uranio al massimo al 3,67% per consentirne l’utilizzo civile, condizione questa già prevista dal vecchio accordo del 2015 stipulato con Obama e dal quale Trump si era ritirato nel 2018. Ma su pressione del Congresso e avendo svelato il bluff di Khamenei, Trump sembra esser tornato sui suoi passi e non intenderebbe consentire all’Iran di sviluppare alcun programma: né civile né militare. Anche perché Khamenei mentre sostiene che dotarsi dell’arma atomica è contro i princìpi dello sciismo, al tempo stesso ha già provveduto ad arricchire l’Uranio al 60%.
Khamenei sta vivendo un dilemma: da un lato ha necessità che gli Usa e l’Europa revochino le sanzioni che hanno messo in ginocchio il paese che sta affrontando una crisi energetica senza precedenti in cui unità industriali strategiche hanno dichiarato di essere sull’orlo del fallimento e che rischiano il collasso. Dall’altro lato deve affrontare le numerose minacce al suo potere che giungono sia dal movimento “Donna, Vita, Libertà”, che sta minando uno dei pilastri su cui si fonda la Repubblica islamica, come l’obbligo dell’hijab, sia dalle faide, tra le correnti dei pasdaran che si contengono il potere sia da quella parte del regime che lo vorrebbe spodestare. Per questo motivo prende tempo, spera di portare gli Stati Uniti a un accordo che sia quanto più simile a quello stipulato con Obama.
L’iniziativa diplomatica di apertura a colloqui indiretti con gli Stati Uniti, guidata dal presidente Masoud Pezeshkian, eterodiretto dalla guida suprema, ha scosso l’apparato del regime con scontri tra l’ala più intransigente, tradizionalmente feroce oppositrice di qualsiasi dialogo con gli Stati Uniti, considerato come Satana, e l’ala più pragmatica che, davanti ad un paese economicamente in ginocchio e alla minaccia israeliana di un attacco devastante ai siti militari, spera di veder cancellate le sanzioni per dare respiro alla propria economia. L’unica chance che ha Khamenei per rimanere al potere è firmare con gli americani un accordo morbido simile a quello del 2015 in cambio della revoca delle sanzioni.
Intanto, diversi media iraniani, come Iran International, dicono che Trump avrebbe aperto un canale negoziale parallelo e segreto accanto a quello ufficiale (giunto al quarto round con un nulla di fatto), con una branca dei pasdaran, quella dominante che ha in mano gran parte del potere economico del paese, con alla guida l’ambiguo e potente generale Ali Shamkhani, ex segretario del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale. Sembra che i negoziati in corso siano due: uno ufficiale che si tiene alternativamente a Muskat e a Roma e un altro segreto con i guardiani della rivoluzione. Intanto, Israele si prepara a un rapido attacco agli impianti nucleari iraniani se i colloqui dovessero fallire.
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