L'intervista
Nuovi programmi scolastici, le linee guida del prof Marazzini: “Non abbandoniamo la penna, aiuta i processi cognitivi”

Le Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e primo ciclo di istruzione sono state pubblicate l’11 marzo scorso. Da allora la discussione in merito non si fonda più sulle poche anticipazioni del ministro Giuseppe Valditara. Finalmente si possono leggere le carte, ma non stupisce, come spesso accade in Italia, che si siano sprecate più opinioni per le anticipazioni che per le indicazioni stesse. Ne abbiamo discusso con il professor Claudio Marazzini, noto linguista, presidente onorario dell’Accademia della Crusca, che ha coordinato il Gruppo di lavoro per le Indicazioni di Italiano (ambito linguistico).
Professore, cosa risponde a chi accusa il lavoro della Commissione di essere stato eccessivamente italocentrico e nostalgico?
«Questa polemica è nata attorno alle indicazioni relative alla Storia, e si è scatenata contro Ernesto Galli della Loggia, che del resto non credo abbia paura delle polemiche. Io mi sono occupato della lingua italiana. Giriamola come vogliamo, ma l’italiano è necessariamente italocentrico, perché è la lingua che si parla soprattutto in Italia, anche se a qualcuno piacerebbe forse passare sempre e sistematicamente all’inglese. Ma l’italiano è anche nostalgia. Nostalgia della nostra tradizione letteraria, di Dante, del Rinascimento, del nostro ricco passato. Speriamo che le Linee guida aiutino a garantirgli un buon futuro».
Le vostre Indicazioni tuonano spesso contro «l’ossessione per la norma» e sembrano andare in altra direzione rispetto a quelle di una scuola nozionistica…
«Se si attribuisce al termine “nozionistico” un’accezione negativa, riferendosi a un eccesso di nozioni e a nozioni sbagliate, allora ci si può trovare in pieno accordo con le nostre indicazioni. Se si intende abolire ogni nozione, allora le nostre Linee guida saranno un ostacolo, perché prevedono molte nozioni, ma non sterili e fini a sé stesse».
A proposito, come dovrò scrivere «sé stesse», con o senza accento?
«Sto con la maggioranza e lo scrivo senza, anche se so che la forma corretta sarebbe “sé stesse”. Ma è una lunga storia grammaticale, che qui non abbiamo il tempo di raccontare».
Eppure per la scuola primaria si sottolinea che la «teoria va limitata al minimo indispensabile». Come deve agire, quindi, il docente? Non deve proporre categorie grammaticali fino a una certa età degli allievi?
«Abbiamo indicato le modalità di una presentazione “ostensiva” delle categorie grammaticali per la scuola primaria. Per esempio, il concetto di “soggetto” della grammatica tradizionale risulta discutibile, perché “chi compie l’azione” è una definizione falsificabile, cioè solo apparentemente universale. Poi, con il procedere degli studi, si approfondirà il quadro teorico, imparando una definizione più moderna di soggetto, come l’elemento che si accorda con il verbo in persona e numero. Si tratta di una definizione puramente formale, grammaticale, non semantica. Per questo è più difficile capirla: si colloca a un livello molto astratto».
Si legge, inoltre, che «la riflessione sui fatti linguistici dovrebbe tener sempre conto della finalità comunicativa della lingua». Cosa significa in concreto?
«Intendiamo dire che per la riflessione si tratta di scegliere esempi che siano tratti dalla lingua comune, che non siano troppo artificiosi, che non siano ricavati dalla lingua letteraria antica, che non siano balordi. Si tratta di prendere come punto di avvio espressioni che usiamo tutti i giorni, e che tuttavia sono governate dalle regole grammaticali».
C’è anche il consiglio della scrittura a mano da affiancare alla videoscrittura…
«La scrittura manuale non può e non deve essere abbandonata o disprezzata. È un argomento noto, di cui si è molto discusso, e sono stati messi in evidenza i pregi cognitivi dell’uso della penna su carta. Non si deve abbandonare la penna. Anche se in tasca c’è lo smartphone».
Leggiamo anche: «L’insegnante terrà conto delle riflessioni degli studiosi che negli ultimi anni si sono impegnati nel riesame critico dei concetti tradizionalmente accettati e offerti dalla manualistica (si pensi alle critiche alla definizione di verbo inteso come parte del discorso che indica un’azione)». Cosa bolle in pentola in tal senso? Ci sono «consuetudini» e «convenzioni» scolastiche che si stanno mettendo in discussione?
«Proprio mentre stendevamo le nuove Linee guida, si è svolta una discussione molto vivace, avviata da due interventi del linguista Mirko Tavoni, uno nella rivista online del Mulino, uno nel sito dell’Accademia della Crusca. Chi vuole, può andare a leggere questi due interventi illuminanti. Quanto al verbo, di cui già parlavamo prima, riferendoci al soggetto, è chiaro che non indica sempre un’azione. “Patire” che azione è, e di chi? E poi anche “pugno” indica un’azione, eppure non è un verbo».
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