“Bisogna superare quanto prima la degenerazione delle correnti. In questo momento, infatti, è più ‘importante’ della separazione delle carriere fra Pm e giudici”. Lo ha detto ieri la senatrice leghista Giulia Bongiorno, presidente della Commissione giustizia di Palazzo Madama, dando il via al ciclo di audizioni che dovrebbero portare all’approvazione della (ennesima) riforma del Consiglio superiore della magistratura.

L’attuale legge che regola il funzionamento dell’organo di autogoverno delle toghe, ad iniziare dal sistema di elezione dei suoi componenti togati, è entrata in vigore da circa un anno al termine di una discussione quanto mai accesa fra le forze politiche. Per cercare di ‘neutralizzare’ il potere delle correnti della magistratura, delle associazioni di carattere privato che, caso unico in Europa, condizionano le nomine dei capi degli uffici giudiziari, prima ancora che esplodesse il Palamaragate, il Movimento5Stelle, allora partito di maggioranza relativa, nel 2018 aveva previsto il “sorteggio” dei componenti togati.

Tale proposta, però, non venne inserita nel successivo contratto del governo gialloverde e, terminata l’esperienza del Conte uno, finì nel dimenticatoio, disconosciuta dallo stesso ministro grillino della Giustizia Alfonso Bonafede. Esploso il Palamaragate a maggio del 2019, il Guardasigilli pentastellato annunciò quindi una riformaepocale”, senza sorteggio, ma con modifiche ai collegi elettorali. “Forse il ministro non sa che alcune correnti hanno reti locali che prendono in carico i magistrati dal loro ingresso in magistratura e li accompagnano fino alla pensione. Più ristretto è il collegio e più facile è intercettare il voto. Nessun magistrato, se non sostenuto da un gruppo, verrebbe mai eletto”, commentò il pm antimafia Sebastiano Ardita.

Con l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi, la neo ministra della Giustizia Marta Cartabia cambiò tutto, incaricando una Commissione di esperti, presieduta dal costituzionalista Massimo Luciani, di elaborare un testo che mettesse finalmente un punto alla degenerazione correntizia. I lavori della Commissione Luciani non ebbero successo e il testo elaborato finì sepolto in un cassetto. Si decise così di riesumare il testo di Bonafede, modificandolo con degli emendamenti. La riforma Cartabia, pur a fronte dei richiami dal capo dello Stato Sergio Mattarella, non ha intaccato minimamente il potere delle correnti, anzi, lo ha rafforzato. Il modello voluto dalla Ministra è una sorta di Mattarellum, un maggioritario con correzione proporzionale, che ha premiato alle elezioni per il rinnovo del Csm dello scorso settembre le correnti più forti e strutturate.

I componenti togati sono poi passati da 16 a 20. “E’ un testo di compromesso”, dichiara Pierantonio Zanettin, attuale capogruppo di Forza Italia in Commissione giustizia al Senato. “Purtroppo i partiti che sostenevano il governo Draghi avevano idee troppo diverse sulla giustizia”, prosegue Zanettin. La riforma Cartabia venne votata da tutti i partiti della maggioranza, tranne Italia Viva che si astenne. Fratelli d’Italia, unico partito all’opposizione, votò invece contro. A microfoni spenti molti esponenti del centrodestra dissero che il meccanismo elettorale che avrebbe potuto arginare l’invadenza delle correnti sarebbe stato proprio il sorteggio, temutissimo dall’Associazione nazionale magistrati e che vedeva la ferma contrarietà della ministra Cartabia.

La riforma in discussione adesso al Senato riparte, dunque, dal sorteggio ‘temperato’, prevedendo l’elezione della componente togata del Csm tra un numero di candidati, cento, preventivamente sorteggiati dopo richiesta di disponibilità di candidatura a tutti i magistrati. Sono previsti anche una serie di requisiti di ‘sorteggiabilità, alcuni dei quali connessi a precedenti incarichi dei magistrati. “E’ un male necessario”, ha dichiarato ieri il senatore Ivan Scalfarotto (Iv) durante le audizioni. Il sorteggio ‘temperato’, nelle intenzioni, restituirebbe un ruolo ai componenti laici. La Costituzione ha previsto, infatti, che 1/3 dei membri del Consiglio venga scelto dal Parlamento fra avvocati e professori di diritto, proprio al fine di evitare che l’organo di governo dei magistrati divenga autoreferenziale e scollegato dal controllo delle istituzioni democratiche.

Dalla lettura delle chat di Luca Palamara era emerso, invece, che nella partita delle nomine i laici non venivano quasi mai coinvolti. Il ‘problema’ è numerico dal momento che per 2/3 il Consiglio è composto magistrati e se essi si mettono d’accordo fra loro, vedasi le nomine ‘a pacchetto’, il ruolo dei laici è ininfluente. Il peso dei laici andrebbe aumentato, soprattutto nella sezione disciplinare, per evitare il rischio che i magistrati che compongono la sezione abbiamo partecipato a tornate elettorali, a convegni di corrente, a sponsorizzazioni personali in vista del conferimento di incarichi, proprio con i colleghi che devono giudicare.

“Non mi sembra che sia cambiato nulla rispetto alla situazione precedente con ‘l’epocale’ riforma”, ha commentato l’ex laico di centro destra Antonio Leone. “Ho fatto parte della tanto vituperata consiliatura di Palamara e, leggendo in questi giorni i giornali, vedo che le correnti continuano ad incidere sulle nomine”, prosegue Leone. “La situazione che ho vissuto – aggiunge – si sta replicando, con l’appartenenza correntizia che pare essere l’unico criterio effettivo ai fini dell’assegnazione degli incarichi, essendo le valutazioni di professionalità positive per la quasi totalità dei magistrati”.