L’imputato è Alberto Stasi, allora fidanzato della vittima, Chiara Poggi. L’accusa è quella di aver cagionato la morte di Chiara Poggi colpendola al capo ed al volto con reiterati colpi inferti con un corpo contundente, così determinando la lacerazione dell’encefalo, la contestuale frattura con sfondamento del cranio e numerose lesioni contusive al capo e al viso; lesioni da cui derivava la morte. Un reato di omicidio volontario che sarebbe ulteriormente aggravato dall’aver agito con crudeltà in ragione del numero e dell’entità delle ferite. Una breve scheda di date, sentenze, e punti chiave del delitto di Garlasco.

Omicidio Chiara Poggi, l’accusa, le date, le sentenze e il colpo di scena

13 agosto 2007 – Chiara Poggi viene uccisa nella sua casa di Garlasco.

31 ottobre 2008 – La Procura di Vigevano chiede il rinvio a giudizio di Alberto Stasi.

17 dicembre 2009 – Alberto Stasi, giudicato in rito abbreviato dal GUP del Tribunale di Vigevano, Stefano Vitelli, viene assolto per non aver commesso il fatto. A parere del giudice, anche a seguito delle integrazioni istruttorie da lui disposte (4 nuove perizie, di cui una medico-legale, una informatica, una chimica ed una scientifica deputata alla simulazione degli avvenimenti) rimarrebbe “un complessivo quadro istruttorio da considerarsi contraddittorio ed altamente insufficiente a dimostrare la colpevolezza dell’imputato secondo la fondamentale regola probatoria e di giudizio dell’‘oltre ogni ragionevole dubbio’. Questa finale regola probatoria e di giudizio rappresenta non solo l’attuazione di fondamentali principi costituzionali ed un imprescindibile pilastro di uno stato liberal/democratico (nel senso più alto e nobile), ma anche e prima ancora un naturale richiamo etico per ogni uomo giusto e ragionevole”.

6 dicembre 2011 – La Corte di Assise di Appello di Milano conferma la sentenza di primo grado impugnata dalla Procura e dalla Parte Civile. Secondo i giudici gli elementi sottoposti al loro vaglio non offrono una ricostruzione di una realtà solida ed incontrovertibile: vi è un quadro di insuperabile approssimazione e di congetture, caratterizzato da indizi “che non accedono alla soglia della gravità perché non resistono alle obiezioni”. E, se così è, “non è logicamente deducibile un fatto ignoto da un fatto a sua volta solo ipotetico”. Quanto alle ipotesi alternative alla non provata responsabilità di Stasi, queste secondo la Corte “non sono eventualità remote, ma riguardano scenari alternativi dei quali la presenza della bicicletta nera da donna fuori l’abitazione della vittima potrebbe costituire un elemento costitutivo. Scenari attraversati da altri protagonisti, e che forse sono stati caratterizzati da progressioni criminose non esplorate, e quindi rimaste ignote. Se però il ragionamento giuridico confonde l’ignoranza del fatto con l’inesistenza del fatto giunge a conclusioni inaccettabili”.

18 aprile 2013 – La Corte di Cassazione, a seguito di ricorso della Procura e delle Parti Civili, dispone l’annullamento della sentenza di assoluzione ed il rinvio per un nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Assise di Milano. Secondo i giudici di legittimità, la Corte di Appello ha errato nel metodo, svolgendo una “lettura atomistica dell’indizio, visto isolatamente e valutato autonomamente, in quanto non portatore di specifica e decisiva capacità indiziante, e non nella sua positività, parziale o potenziale, di efficienza probatoria, da valutare in coordinamento con altri indizi”. Alcuni elementi, poi, sarebbero stati svalutati o non approfonditi. Occorre quindi una nuova analisi di tutti gli elementi conoscitivi acquisiti al processo, con adeguata verifica della resistenza del risultato probatorio a spiegazioni diverse e ad ipotesi ricostruttive alternative.

17 dicembre 2014 – Il giudizio di appello “bis” si conclude con la condanna di Alberto Stasi alla pena di 16 anni di reclusione, esclusa l’aggravante contestata ed operata la diminuzione per la scelta del rito abbreviato. La Corte territoriale arriva a ribaltare le due assoluzioni anche a seguito di una nuova attività istruttoria (accertamenti genetici, escussione di nuovi testimoni, acquisizioni documentali) dalla quale, secondo i giudici, si ricaverebbe “con la dovuta necessaria certezza” la penale responsabilità dell’imputato.

Omicidio Chiara Poggi, come è finito il processo

Il 12 dicembre 2015 la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’imputato – che chiedeva l’annullamento della sentenza – nonché quello della Procura Generale – che lamentava il mancato riconoscimento dell’aggravante della crudeltà. Secondo i giudici di legittimità la sentenza è immune da vizi, e quanto all’aggravante “la mera reiterazione dei colpi inferti, anche con uso di arma bianca, non può determinare la sussistenza della aggravante della crudeltà, se tale azione non eccede i limiti connaturali rispetto all’evento preso di mira e non trasmoda in una manifestazione di efferatezza, fine a se stessa”. Contro la condanna definitiva, nel 2017 è stato presentato un ricorso straordinario per errore di fatto sul presupposto che non sarebbero state assunte alcune prove testimoniali decisive – ricorso poi respinto dalla Corte di Cassazione – e nel 2020 è stata depositata una richiesta di revisione, anch’essa respinta, posto che secondo i giudici “gli elementi fattuali che si vorrebbero provare con le prove nuove non sono stati comunque ritenuti idonei a dimostrare, ove eventualmente accertati, che il condannato, attraverso il riesame di tutte le prove, debba essere prosciolto”.
Alberto Stasi sta scontando la pena nel carcere di Bollate.

Delitto di Garlasco, un processo da riaprire

Nel 2016 la difesa dell’imputato ha presentato una nuova perizia sulle tracce di DNA individuate sotto le unghie di Chiara Poggi, non appartenenti a Stasi e compatibili con altro profilo genetico. La Procura di Pavia ha dunque svolto accertamenti nei confronti di Andrea Sempio, poi destinatario di una richiesta di archiviazione della Procura e di un conseguente provvedimento del GIP di Pavia, Fabio Lambertucci, nel marzo 2017: “È radicalmente priva di attendibilità la consulenza tecnica sul materiale genetico offerto dalla difesa Stasi”. Per il giudice il reperto è inutilizzabile, degradato, e dunque impossibile da confrontare con un profilo genetico per definire un’ipotesi di identità. E se anche il DNA coincidesse con quello di Andrea Sempio, il GIP condivide le considerazioni della Procura, secondo cui questo potrebbe “ben posizionarsi sulle unghie di Chiara Poggi in via mediata per il fatto che entrambi usavano il computer fisso in casa Poggi”; d’altra parte non vi sarebbe movente, e “non si comprende per quale assurdo motivo Sempio avrebbe dovuto, senza compiere alcun tentativo di avvicinamento alla ragazza, ucciderla con modalità così brutali ed efferate”. Dall’11 marzo 2025 Andrea Sempio è di nuovo indagato, e quel medesimo tema del DNA sotto le unghie della vittima sembrerebbe oggetto di nuovi accertamenti peritali. Il 21 maggio la Procura di Pavia ha inoltre rilasciato nientemeno che un comunicato stampa a firma del Procuratore Fabio Napoleone per comunicare all’opinione pubblica – vero interlocutore, ahinoi – che alcune impronte rinvenute all’epoca dei fatti ma ritenute “non utili” sarebbero state nuovamente esaminate dai consulenti di parte oggi incaricati e, “alla luce delle nuove potenzialità tecniche a disposizione, sia hardware che software, l’impronta 33, evidenziata mediante l’impiego della ninidrina, è stata lasciata dal palmo destro di Sempio Andrea, per la corrispondenza di nr. 15 minuzie dattiloscopiche”.

Marianna Caiazza

Autore

Avvocato penalista