Il giudice e il dubbio
The Garlasco show: tutto ciò che non dovrebbe mai accadere (e invece accade) in un processo penale

Posso dirlo? Lo dico. Almeno, si comincia a parlare del “dubbio” nel giudizio penale anche al di fuori delle aule giudiziarie o universitarie. In questo sempre meno decoroso spettacolo che sta andando in onda da settimane intorno alla piccola cittadina di Garlasco, è perfino possibile cogliere qualcosa di buono. Con molto cinismo, lo riconosco, perché intanto questo bailamme ustiona e scortica la pelle delle persone che, loro malgrado, ne sono protagoniste: ma insomma, la congiunzione astrale sta di fatto determinando la miracolosa possibilità che media e pubblica opinione possano finalmente toccare con mano la ragione per la quale si è tramandato intatto fino a noi, dal Codice Giustinianeo per oltre 1.500 anni, un principio fondativo della civiltà umana, tuttavia indigesto alla istintiva bulimia giustizialista dei più: “in dubio pro reo” (nel dubbio, a favore dell’imputato, ndr).
Stasi e l’incompatibilità con “al di là di ogni ragionevole dubbio”
Una sentenza di condanna non può convivere con il dubbio. Si corra il rischio di lasciare impunito il colpevole, piuttosto che quello di condannare un innocente. Non c’entra nulla il precedente – immancabilmente evocato nelle polemiche di questi giorni – di Enzo Tortora, che subì una indagine e un processo di primo grado scandalosi, ma che fu assolto nei successivi gradi di giudizio. Qui si riaprono le indagini dopo alcuni lustri dall’omicidio, mentre un “colpevole” sta finendo di scontare la condanna definitiva. Sarebbe già uno scenario scioccante se quel colpevole fosse stato giudicato tale senza contrasti; ma è semplicemente insopportabile, quando quel colpevole è stato assolto in primo e secondo grado di merito, e poi condannato non per la sopravvenienza di elementi di prova nuovi, ma per avere la Corte di Cassazione ritenuto illogica e contraddittoria la motivazione delle assoluzioni, sul medesimo compendio probatorio.
Una evidente incompatibilità con la regola della condanna “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Tanto è vero che a partire dall’agosto del 2017 il nostro codice non consente più al Pubblico Ministero di impugnare in Cassazione una doppia conforme assolutoria solo mettendo in discussione la logicità della motivazione. Una riforma ancora insufficiente, ma già significativa. Se non si denunziano vizi di violazione di legge (processuale e sostanziale), la doppia assoluzione è inoppugnabile. Il ricorso in Cassazione contro l’assoluzione di Stasi sviluppò sei motivi di censura, ma tutti e solo sulla logicità della motivazione. Se questa (così colpevolmente tardiva) riforma fosse stata in vigore all’epoca, Alberto Stasi sarebbe un cittadino innocente.
Il sentimento di orrore di fronte a condanna sbagliata
Ecco, dunque, che questo formidabile impazzimento mediatico si spiega bene: non è solo la morbosa ambizione di vedere infine svelate le identità del possibile assassino impunito, quanto soprattutto l’autentico sentimento di orrore di fronte alla possibilità di dover prendere atto che un innocente ha dovuto scontare 16 anni di carcere. E quindi ora tutti a recitare “in dubio pro reo”. Bene. Sempre che si comprenda anche il corollario di quel principio: la verità che si costruisce in un processo penale ha una vita parallela rispetto alla “Verità” storica dei fatti. La verità processuale è, inevitabilmente, una verità posticcia, una ricostruzione postuma – la più plausibilmente verosimile – costruita sull’assemblaggio di testimonianze, documenti, cognizioni scientifiche che il giudice dovrà ricomporre nel rispetto delle regole processuali, e di quelle della logica e del buon senso.
Bisogna saper accettare questi limiti insuperabili propri del processo penale, e rispettarli. Il dubbio che vincola il Giudice, infatti, non sarà mai un dubbio assoluto, paralizzante perché come tale umanamente insuperabile; ma un dubbio, appunto, “ragionevole”, cioè parametrato su ciò che il processo, rispettando rigorosamente le proprie regole, ha saputo ricostruire di una verità storica nota solo all’autore del reato ed alla vittima. C’è tanto su cui riflettere, questa settimana, su PQM. Buona lettura!
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