Il dibattito
Orbán fuori dall’Ue? “Se non sanzioniamo oggi l’Ungheria in modo efficace, domani potrebbe esserci qualcun altro”

“Sta con noi o contro di noi?”. È una domanda ricorrente a Bruxelles quando si parla di Ungheria. Il paese di Orbán ha esercitato il veto in più occasioni nelle sedi istituzionali europee. Dal rinnovo delle sanzioni alla Russia, fino al supporto militare nei confronti dell’esercito ucraino, l’ultimo dilemma. Sul ruolo ambivalente dello Stato magiaro nell’Unione si è sviluppata ieri L’Ora del Riformista. Durante il panel, dal titolo Il Salame ungherese, moderato da Aldo Torchiaro, sono intervenuti Andrea Carteny, professore all’università La Sapienza di Roma, Oles Horodetskyy, portavoce ucraino in Italia, Marta Ottaviani, scrittrice e giornalista e Federica Onori, deputata di Azione.
L’orientamento politico ungherese ha radici storiche e Carteny intavola la discussione sul tema: «L’azione del veto di Budapest è pensata e strategicamente elaborata. Non è la prima volta che Viktor Orbán fa degli avanzamenti, degli strappi che sembrano avere un consenso da parte di un’opinione pubblica autonoma. Il blocco di riferimento di Orbán – specifica il professore – nasce come illiberale per poter uscire dalle paludi del comunismo, ma interpreta l’Ungheria in senso pragmatico. Siamo nell’Ue ma ci siamo fino a che ci conviene». L’attenzione del dibattito si sposta con Ottaviani sui recenti emendamenti approvati dall’Ungheria in materia di diritti dei cittadini e della comunità Lgbtq. «Il provvedimento del Parlamento ungherese non riguarda solo comunità lgbt, ma va anche a colpire le persone con il doppio passaporto, trattate come traditori della patria». E poi interviene sulle prospettive europee: «Se non sanzioniamo oggi l’Ungheria in modo efficace, domani potrebbe esserci qualcun altro. Finché non salta il meccanismo dell’unanimità o non si introducono meccanismi sanzionatori concreti, allora siamo destinati a restare vittime dell’Orbán di turno».
Concentrandosi sull’Ucraina, in prima battuta, Horodetskyy ha allargato il quadro: «Abbiamo assistito alla strage di Sumy. Questa è la risposta russa a tutte le richieste di dialogo. Dopo domenica, anche a Washington si renderanno conto della situazione, di chi vuole la pace e chi invece no». Per poi affrontare le tensioni nei rapporti tra Ucraina e Ungheria: «L’attrito tra ungheresi e ucraini ha radici storiche. La questione in Transcarpazia viene strumentalizzata da anni dal governo di Orbán per stimolare una visione nazionalista dell’Ungheria, che ha perso i suoi territori».
Sui mezzi a disposizione dell’Ue contro l’opposizione ungherese ha chiuso Onori, offrendo soluzioni all’impasse: «La Commissione esteri dovrebbe parlare con una voce sola. Però si scontra non soltanto con paesi terzi – come Russia e Usa – ma anche con nemici interni che si comportano come se fossero quinte colonne di paesi terzi e che ci minacciano. Abbiamo riformato i trattati – precisa Onori – senza prevedere meccanismi di espulsione, ma soltanto meccanismi di sospensione. L’articolo 7 – aggiunge – prevede che se commetti gravi errori in modo persistente sei sospeso, non voti e non eserciti il diritto di veto. Sarebbe opportuno che chi non è in linea coi nostri valori non sia nelle condizioni di bloccarci nella nostra attività.
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