La storia dell’orsa Jj4 continua a far discutere e dividere. Ad oltre una settimana dalla sua cattura continua a essere incerto il suo destino. L’orsa ha aggredito e ucciso il runner 26enne Andrea Papi nei boschi della Val di Sole in Trentino e per questo motivo è stata catturata. Ritenuta pericolosa, ora è stata portata presso il centro faunistico di Casteller in attesa della decisione del Tar che l’11 maggio si esprimerà sulla possibilità di abbatterla o di trasferirla in altro rifugio adeguato. Intanto aumentano le proposte di quanti, parchi o zoo, sarebbero disponibili ad adottarla e accoglierla salvandola da una sorte infausta. E aumentano anche le preoccupazioni di quanti si chiedono che fine abbiano fatto i suoi cuccioli. Separati dalla loro mamma al momento della cattura, che ne sarà di loro? Potranno sopravvivere?

Secondo gli esperti l’orsa, che per sua natura non è un animale aggressivo, si sarebbe fiondata sul giovane runner proprio per difendere i suoi cuccioli che avrebbero circa 15 mesi e sarebbero ora in fase di svezzamento. Quanto può essere pericoloso per la loro vita questo allontanamento prematuro? Indicativamente gli studi scientifici ci indicano che i cuccioli di orso restano accanto alla mamma circa 2 anni: tra l’anno e mezzo e i due anni e mezzo poi si staccano. “Sopravviveranno? Sì. Se questo vi rincuora. Ma. C’è un (anzi, mille) ma”, ha scritto in una sua riflessione su Facebook, Chiara Grasso, etologa, giornalista, divulgatrice e docente di ecoturismo, come riportato anche da Dire. “Un recente articolo pubblicato su Nature evidenzia che la strategia ‘2,5 anni’, con cura parentale molto prolungata, in Svezia sta aumentando di frequenza, e di molto, favorita dal tipo di gestione dell’attività venatoria”, continua l’etologa.

“Erano svezzati? Sì. Non dipendono più solo dalla madre, se questo vi rincuora. Non sono condannati a morte per stenti, insomma. Sopravviveranno? Sì. Se questo vi rincuora”, chiosa l’esperta. Ma pone una riflessione più ampia sulla sorte dell’orsa e dei suoi piccoli. “Considerando che è solo dal secondo anno che le mamme iniziano a muoversi su aree più vaste – spiega ancora Grasso – incrementando l’insegnamento e la trasmissione di conoscenze, necessarie al definitivo svezzamento (ad esempio, come localizzare un frutto che si trova solo ad agosto), capirete bene che l’apprendimento non era ancora concluso e l’orso, essendo un animale straordinariamente complesso, ha un bisogno basilare di apprendimento e imitazione. Come noi”.

I rischi maggiori potrebbero riguardare proprio la convivenza in un futuro tra i cuccioli dell’orsa e l’essere umano. “Mancando la madre nei momenti cruciali di apprendimento sociale e alimentare, quanto influirà questo sulla capacità dei piccoli di cercare cibo adeguato o piuttosto di optare per quello più semplice (umano) rischiando di diventare confidenti? – si chiede Grasso – E poi, quindi, essere anche loro eliminati perché troppo umanizzati?…e poi di chi sarà la colpa? Sempre dell’orso cattivo, vero?”. Inoltre, “avendo visto la madre portata via dall’essere umano, e avendo vissuto episodi di aggressività da ambe parti, quanto influirà questo sulla loro aggressività e paura nei confronti dell’essere umano? (E poi, di chi sarà, la colpa?)”.

Secondo Grasso, “l’apprendimento culturale non è meno importante di quello trasmesso geneticamente, eppure i grandi scienziati se lo scordano quando devono affermare che va beh, tanto ormai erano già svezzati. Come se l’apprendimento etologico di un orso dipendesse solo dalle tette e non da avere una guida”. L’etologa conclude con una riflessione. “Aver smesso di dipendere dalla madre non vuol dire non averne più bisogno. (Anche nell’umano, ma per quello preparo un’altra polemichetta)”.

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.