Le novità
PA, cosa cambia con il nuovo contratto delle funzioni centrali: aumenti di stipendio, lavoro agile, settimana corta e buono pasto

Aumenti salariali, ma anche lavoro agile, life-work balance, formazione, attenzione al passaggio generazionale. Il nuovo contratto delle funzioni centrali segna un momento fondamentale nell’evoluzione della Pubblica amministrazione. La Pa e i suoi dipendenti fanno finalmente un balzo in avanti verso il futuro.
L’incremento di stipendio
Si parte da un incremento di stipendio medio a regime di 165 euro mensili per 13 mensilità. Con il nuovo CCNL, poi, viene implementato il lavoro agile, un tema su cui la Federazione si è battuta per equiparare il trattamento del pubblico al privato. Introdotta anche in via sperimentale, e su base volontaria, la settimana lavorativa di quattro giorni. E in un’ottica di conciliazione vita-lavoro va anche il riconoscimento del buono pasto per le giornate lavorative in smart working. Sancito per i dipendenti oltre i 60 anni l’aumento delle ore di permesso annuale per esami e visite mediche da 18 a 20 ore. E in caso di gravi malattie, il lavoratore sarà tutelato anche attraverso l’assimilazione degli accessi ambulatoriali e della convalescenza post-intervento alle assenze per malattia. Garantito il diritto allo studio anche per i contratti a tempo determinato. Infine vengono individuate misure per la gestione dell’invecchiamento della forza lavoro, con forme sia di tutoraggio (per formare i nuovi assunti) che di trasferimento delle competenze digitali dai dipendenti più giovani a quelli più esperti.
Una Pubblica Amministrazione per giovani
Una rivoluzione, quella aperta dal nuovo CCNL, che influisce direttamente anche sull’attrattività della Pa per i giovani, che continua a essere una delle principali criticità della nostra Pubblica amministrazione. Una rielaborazione della FLP basata sui dati del report OCSE “Government at a Glance 2021” rivela che, nelle amministrazioni centrali, la quota di dipendenti tra i 18 e i 34 anni è ferma al 2,5%, posizionando l’Italia penultima tra i paesi Ocse, dove la media supera il 19%. Solo la Grecia fa peggio con l’1,8%, mentre paesi come il Giappone raggiungono il 27%. Analizzando i dati Aran, si evidenzia che – su un totale di 3,2 milioni di dipendenti della Pubblica amministrazione italiana – gli under 35 rappresentano il 10,4%, percentuale che scende al 5% per la fascia 18-29 anni. La classe di età più rappresentata è quella tra i 50 e i 59 anni, con il 39,1% del totale, corrispondente a 1,2 milioni di dipendenti. L’assenza di giovani si riflette anche sulla qualità dei servizi ai cittadini, in particolare nel campo della digitalizzazione, che è fondamentale per semplificare i rapporti con il cittadino e le imprese. Lo studio della FLP – che ha analizzato lo stato della digitalizzazione della nostra Pa nei confronti del resto d’Europa – evidenzia non solo un ritardo nella digitalizzazione, ma anche una mancanza di interazione efficace tra cittadini e Pubblica amministrazione.
Le nuove sfide
E se questa è la nuova strada della Pa italiana, le sfide sul tavolo sono ancora tante. Come FLP, infatti, abbiamo già richiesto al ministro Zangrillo di emanare l’atto di indirizzo per il rinnovo del triennio 2025-2027 e di riprendere con immediatezza il confronto, attivato dopo la firma della pre-intesa di novembre 2024, per tradurre in uno specifico Protocollo d’intesa gli impegni e le azioni da assumere sulle questioni ancora aperte: dalla defiscalizzazione del salario accessorio all’azzeramento dei tetti predeterminati dei fondi aziendali, senza dimenticare nuovi strumenti per lo sviluppo delle carriere, il rafforzamento del welfare integrativo e la rivalutazione del valore buono pasto, oggi assolutamente inadeguato a fronte dell’aumento di questi anni del costo della vita.
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