Calenda scongeli la memorabile lasagna e la offra a Renzi
Palle e pallottolieri
Per quanto possa essere logico star lì a far di conto su seggi e collegi da spartire, a quarantacinque giorni da un turno di elezioni politiche anticipate in fretta e furia in piena estate, non si può negare che la scucchiaiata sghemba di Carlo Calenda al minestrone di centro sinistra rossogialloverde in fase di impiattamento, sembra voglia rendere almeno un po’ di giustizia e dignità a questa campagna elettorale che già limpidamente si preannuncia come una delle più misere degli ultimi decenni.
Tra “campo largo” e “campo lardo” (col serio rischio di diventare laido), il solista Calenda, fedele al suo background commerciale, non ha fatto altro che esercitare, entro i quattordici giorni di legge, il proprio diritto di ripensamento, rompendo tutto: pare anche l’alleanza coi radicali europeisti della Bonino e di Della Vedova.
Carlo, insomma, alla fine ha scelto di non disunirsi dai valori e dai principi che animano la sua Azione politica e correrà ad oggi da solo, mettendo così a segno un colpo davvero imprevisto (ma chissà quanto in realtà…) alla solita storia pre-elettorale.
La politica è bella anche per questo. Perché sa animare gli spiriti e destare nuove narrazioni. Lo sa bene Giamburrasca Renzi che in nome del cumulo di antipatie, tutte ultra personali, maturate nel decennio trascorso, non ha avuto nemmeno bisogno di reindossare gli abiti del rottamatore per gelare sul nascere ogni proposta di resemblement a sinistra.
Una necessità strategica che nei primi giorni di dibattito qualcuno con più realismo aveva definito “alleanza tecnica”. Ovvero senza un programma comune, divisi su tutto ma uniti nella gestione del poltronificio che saranno soprattutto i collegi uninominali dai quali prenderanno forma la gran parte delle prossime camere, menomate dal referendum anticasta, abbattutosi sul già deprimente (in termini qualitativi) consesso parlamentare, privato ora di ulteriore rappresentatività in termini numerici.
Così a farla da padrone è inevitabilmente il combinato disposto tra la ruvida sforbiciata di deretani (400 in meno) da far digerire a senatori e deputati, uscenti o aspiranti, e la legge elettorale né carne né pesce che è il Rosatellum rimasto intatto. Un busillis niente male che a sinistra provano ad ammantare di nobiltà ricoprendolo coll’eterno valore unificante dell’antifascismo, (passato dall’essere una litania al palesarsi ormai quasi come algoritmo social del politicamente corretto) propalato dal segretario dem Enrico Letta. Mentre a destra, zona Fratelli d’Italia in particolare, la premier in pectore, Giorgia Meloni, è tornata ad aizzare le sue squadre con la più illogica e antieconomica delle proposte in materia di immigrazione: l’impraticabile blocco navale. Questo, insomma, è il livello di una politica talmente priva di argomenti da destare imbarazzo, soprattutto di fronte alla sgrammaticatura senza coraggio (questo a carico esclusivo di Forza Italia e Lega ovviamente) di mandare a casa un premier della caratura di Mario Draghi senza votare neppure la sfiducia.
È per tali ragioni, allora, che nella assonante ma distopica partita di giro tra palle e pallottolieri, l’ardito slancio di Carlo Calenda, per quanto possa risultare sufficientemente antipolitico, diventa nei fatti una possibilità. Lo hanno espresso chiaramente le due ex azzurre Carfagna e Gelmini. Lo ha twittato il leader di Italia Viva, Matteo Renzi.
La strada sembra essere segnata. È quella del coraggio. A Calenda ora l’invito ad abbassare l’asticella dell’orgoglio e tirare fuori dal congelatore la memorabile lasagna del “patto repubblicano” mai siglato col Pd e invece mai come ora possibile con l’ala libdem vicina a Renzi e, sarebbe auspicabile (ma per ora non accadrà) anche con tutte quelle espressioni radicali, liberalsocialiste e riformiste più che mai adatte a dare seguito a un campo forse non così largo ma possibile e, vivaddio, soprattutto serio.
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