La conferma arriva da fonti autorevoli. Giorgia Meloni non sosterrà Mario Draghi per un eventuale incarico a Bruxelles. Né alla guida della Commissione europea, né come presidente del Consiglio europeo. Il motivo del no all’ex governatore della Bce è da ricercare all’interno della coalizione di centrodestra. Uno schieramento sempre più litigioso, come stiamo osservando sulle candidature in vista delle elezioni regionali di quest’anno. No a Draghi, sì a Matteo Salvini. Il vero ostacolo, infatti, tra la presidente del Consiglio e l’ex premier è il segretario della Lega. A Palazzo Chigi temono che un eventuale endorsement di Meloni a favore di Draghi possa avere la conseguenza di fare “esplodere” il sempre più riottoso alleato di governo.

Il rischio, dall’altro lato, è che una delle personalità italiane più influenti d’Europa arrivi a ottenere un incarico di altissimo profilo a Bruxelles, ma senza il sostegno dell’Italia. Anzi, con un beneplacito trasversale, in prima fila il presidente francese Emmanuel Macron. Un altro passo verso l’inesorabile isolamento di Roma a livello europeo. Il tutto dopo la fallimentare trattativa sul Patto di stabilità e il surreale No alla ratifica della riforma del Mes, il Meccanismo Europeo di Stabilità. Ma Meloni sembra aver preso una decisione, privilegiando gli equilibri interni alla coalizione. La premier, con un’apertura prima delle europee, ha paura che il sì a Draghi porti carburante nel motore di Salvini, già pronto a differenziarsi da Fratelli d’Italia in ottica sovranista. Un via libera all’ex banchiere offrirebbe il gancio al leader del Carroccio, che non vede l’ora di colpire. Il vicepremier leghista attaccherebbe sull’inciucio europeo, additando addirittura Meloni come complice dell’“odiato” Macron. Una tempesta perfetta sulla stabilità dell’esecutivo. Con potenziali ripercussioni negative sul gradimento della premier e sul consenso di Fratelli d’Italia. E così l’inquilina di Palazzo Chigi resta a mezz’aria, tra la piena legittimazione europea e le bizze di un alleato che diventa sempre più insofferente, giorno dopo giorno.

Infatti a Via della Scrofa credono che i capricci di Salvini sulle regionali siano il potenziale casus belli in grado di innescare una slavina dalle proporzioni più ampie. Per il momento, l’ostinazione del titolare delle Infrastrutture e dei Trasporti dalle parti di FdI viene vista come avvertimento. Un segnale di malumore, che potrebbe concretizzarsi su partite di portata decisamente maggiore rispetto alla scelta dei candidati governatore nelle regioni al voto quest’anno. La volontà di Meloni di stoppare la corsa di Draghi verso la Commissione europea o il Consiglio europeo si poteva leggere tra le righe di alcuni indizi lasciati dalla premier nelle ultime settimane. Un mese fa l’attacco della presidente del Consiglio in Aula alla Camera: “C’è chi si faceva fare le foto con Francia e Germania e poi non portava a casa niente”. Tutti hanno pensato che la premier si riferisse alla famosa immagine di Draghi in treno verso Kiev con Macron e Olaf Scholz. Lei poi ha fatto marcia indietro.

Ma l’incidente diplomatico era già bello che fatto. Nonostante le voci di una telefonata distensiva tra Meloni e il suo predecessore. Poi c’è stata la conferenza stampa di fine anno, anzi di inizio anno, il 4 gennaio scorso. La premier ha sgusciato di fronte alla domanda su Draghi: “Credo che sia impossibile parlare oggi di chi domani potrebbe guidare la Commissione Europea, Draghi ha dichiarato di non essere disponibile”. Infatti all’inizio si pensava che Palazzo Chigi potesse dare il suo ok alla nomina dell’ex governatore della Bce alla guida del Consiglio europeo. Ma poi l’innalzamento della temperatura in maggioranza a causa delle tensioni con la Lega di Salvini ha fatto il resto. Meloni dirà di no a Draghi punto e basta. La premier, poi, in conferenza stampa ha lasciato anche un altro indizio. Le parole al miele sul “ragionamento interessante” di Marine Le Pen sulla Russia, con conseguente apertura a un dialogo con il Rassemblement National, va da sé che sbarra la strada a ogni ipotesi di appoggio a una nomina europea dell’ex presidente del consiglio italiano. A maggior ragione se Macron venisse individuato come il maggiore sponsor dell’economista.

Ancora una volta Meloni sceglie l’isolamento per non indispettire i sovranisti e non farsi mettere in difficoltà a destra da Salvini. Intanto Draghi, incaricato dalla Commissione Ue di stilare un report sulla competitività, incontra i commissari europei e parla di un progressivo indebolimento dell’economia europea. Draghi ha evidenziato la necessità di definire una road map ampia e dettagliata, che identifichi chiaramente priorità, linee d’azione e politiche da mettere in atto nei diversi settori. L’ex premier prima ha proposto ai commissari un breve inquadramento delle dinamiche che hanno portato allo scenario attuale e delle prospettive per la competitività europea. L’ex premier ha poi sottolineato come il suo report dovrà essere basato su un’analisi accurata dei dati, frutto di un esercizio il più possibile aperto.

L’eventuale approdo di Draghi verso un ruolo apicale in Europa potrebbe anche far naufragare il sogno di Meloni di avere un Commissario di peso dopo le elezioni europee. Un esponente italiano alla guida di un’importante istituzione europea porterebbe i partner a offrire all’Italia soltanto un commissario di seconda fascia. Una sconfitta a tutto campo per Meloni. Isolata e senza una pedina di peso nella futura commissione. Il tutto per tenere buono Salvini a Roma. Sempre da Bruxelles potrebbe arrivare una grana per la segretaria del Pd Elly Schlein. In questo caso il “problema” risponde al nome di Paolo Gentiloni. L’attuale commissario Ue non si candiderà alle prossime elezioni europee. E il suo rifiuto potrebbe essere il segnale di una disponibilità di Gentiloni a prendere il posto di Schlein, nel caso dopo il voto per l’Europarlamento partisse la resa dei conti interna. “A lui nessuno potrebbe dire di no”, riflettono dal Pd.