Gli ebrei hanno troppo potere dicono in tanti che hanno risposto a un sondaggio. E l’antisemitismo si nutre sempre dello stesso cibo. Questa volta la ricerca sullo stato dell’arte dell’antisemitismo in Italia, è condotta da una ricercatrice, universalmente apprezzata, in genere dedita alla misurazione degli umori politici come Alessandra Ghisleri, e i risultati non sono affatto incoraggianti.
Circa il 12% degli italiani crede sostanzialmente che la Shoah sia una bufala. Il 6,1% della popolazione si dichiara non favorevole alla religione ebraica, ma i valori che riguardano le motivazioni di questo plateale schieramento antisemita, sono ancora superiori (il 14% pensa che i palestinesi siano oggetto di un genocidio da parte degli ebrei, l’11,6 che gli ebrei dispongano di un potere economico troppo forte, il 10,7 che si occupino solo di se stessi etc etc ).

Come al solito in questo tipo di ricerche, ancora più del valore assoluto sarebbe utile il valore comparativo, con gli anni precedenti. Nel caso della ricerca della Ghisleri non abbiano raffronti, ma tutte le ricerche che monitorano l’andamento storico degli atti e delle espressioni antisemite, anche sui social, misurano un cospicuo aumento. Quale giudizio dare dunque di questi dati?

Il primo: l’antisemitismo non è mai morto, e non morirà mai. La necessità dell’individuazione di un nemico, della circoscrizione del proprio territorio dove la diversità non è accettata, vale sempre. L’antisemitismo ha una sua peculiarità, una sua storicità, ma appartiene a una famiglia più grande, del razzismo e della discriminazione, che ha una persistenza storica formidabile e preoccupante.

Secondo: la concomitanza di fattori che inducono a un peggioramento della situazione, come le crisi economiche e (come dimostra anche per esempio il famoso post del senatore Lannutti), le crisi bancarie, aumentano l’intensità del fenomeno. Di fronte a un problema esistenziale così grande come la propria condizione materiale di vita, la precarietà della propria situazione, l’incertezza del futuro, l’impressione di essere impotenti contro un destino cinico e baro, scatta la ricerca di un nemico un po’ indecifrabile, un oscuro complotto, un popolo strano con strane usanze, qualcuno o qualcosa la cui alterità giustifica il sospetto di attività pericolose e nemiche.

Terzo: l’antisemitismo ha chiare e plurime matrici. Ai nostri giorni se ne ritrova uno classico di matrice neofascista o neonazista, i cui esiti ricorderemo tra poco nel Giorno della Memoria; ci sono le forme contemporanee, che usano lo Stato d’Israele come obiettivo, negandone il diritto all’esistenza e dunque attaccando un principio generale, sancito dal consesso internazionale e dall’Onu, che ovviamente è cosa ben diversa dal diritto di critica delle singole scelte dei governi che si succedono in Israele; ce n’è uno di matrice islamica, ovviamente in crescita nel mondo arabo e islamico, ma anche nei Paesi europei a forte presenza islamica; ci sono ancora presenti le matrici di origine cristiana, risalenti all’accusa di deicidio, anche se mi pare molto rarefatte. E credo si possa dire che la questione delle forme contemporanee dell’antisemitismo, delle sue matrici, non si distanzi molto da ciò che è stato osservato nel passato, e dalle sue radici storiche, anche se, sicuramente per l’Italia, oggi, la concomitanza di un’onda politica che fa della spinta identitaria, intesa come ricerca del proprio carattere originario come unico argine al globale, sta amplificando molto ogni sentimento discriminatorio.

Quarto: dobbiamo avere coscienza che Internet, e i social in particolare, hanno prodotto un’amplificazione esasperata dei peggiori sentimenti di odio, discriminazione e razzismo, magari nascosti dietro l’anonimato, come se la rete fosse una specie di terra di nessuno dove tutto è concesso. Dove io, anonimamente, posso finalmente togliermi il giogo delle norme, dei divieti, dell’etica pubblica.

È la terribile questione dei discorsi di odio, che attraversano tutto il mondo della rete, e di cui l’antisemitismo è molta parte. Oggi dunque, questa è la mia impressione, i fattori contingenti si sommano all’eredità storica, nella stagione in cui peraltro sono destinati a scomparire gli ultimi testimoni della Shoah, con un connubio preoccupante. Serve un investimento complessivo. Non basteranno i divieti. Serve investire nella cultura, nella formazione e nel sociale. Ogni centimetro tolto al terreno dove sorge il pregiudizio è un centimetro guadagnato per il futuro.