Osservatorio napoletano
“Per essere orgoglioso di Napoli non avevo bisogno di Alberto Angela”, parla Eugenio Mazzarella
«Bisogna assicurare il controllo pubblico di servizi strategici del Comune, ma insieme garantire efficienza gestionale tipica del privato quando è ben amministrato e, aggiungo, sorvegliato, supervisionato sul raggiungimento degli obiettivi di gestione. Questo è un punto decisivo». Ne è convinto il filosofo e politico napoletano Eugenio Mazzarella, che insieme con Paolo Cirino Pomicino, Erminia Mazzoni, Umberto Ranieri, Giuseppe Gargani e Roberto Cogliandro, ha dato vita al partito riformista, liberale e popolare, con l’intento di suggerire alla nuova amministrazione guidata da Gaetano Manfredi strategie efficaci per portare Napoli fuori dalle sabbie mobili nelle quali si trova un decennio.
Professore, con gli aiuti in arrivo da Roma, Manfredi riuscirà a risollevare le casse dissestate del Comune?
«Ho molta fiducia che sarà in grado di farlo. Ha esperienza di gestione di un grande Ateneo, la Federico II; di fatto dopo il Comune di Napoli credo sia la più grande azienda della città. È affiancato da un assessore, Pierpaolo Baretta, che per esperienza e conoscenza degli ambienti ministeriali è una garanzia. Ha in giunta alcune capacità notevoli. Ci sono tutti i presupposti».
Lei ha parlato di un Controllo pubblico e di una gestione privatistica, ci spiega la ricetta?
«Si tratta di assicurare il controllo pubblico di servizi strategici del Comune, ma insieme di garantire efficienza gestionale tipica del privato quando è ben amministrato e, aggiungo, sorvegliato, supervisionato sul raggiungimento degli obiettivi di gestione. Questo è un punto decisivo. Né pubblico né privato sono belli in sé, sono belli quando funzionano a vantaggio dei cittadini, il cui vantaggio è parte integrante dei “beni comuni”, che sono davvero beni quando non sono fonti di perdite, sprechi e ovviamente malversazioni. Da questo punto di vista delle new.co a maggioranza comunale (che indirizza e controlla), con l’operatività affidata al socio privato (che assicuri efficienza), potrebbero essere una soluzione. Se ce ne sono altre di migliori nessun problema, ma si tratta di dire quali».
Il know-how chi lo ha e quanto è importante una forma mentis manageriale nella gestione della cosa pubblica?
«Il know-how se non lo si ha in house, per parlare inglese, ce lo si deve assicurare nell’oculata scelta dei soci privati. L’importante, sia che la gestione sia diretta emanazione dell’amministrazione, sia che vada in capo al socio privato, è che essa non sia viziata da una logica di allocazione parassitaria di ceto politico o para-politico, vuoi per necessità di trovargli una ricollocazione, vuoi con un occhio strabico alla costruzione di filiere di consenso. Lo dico con chiarezza perché questo è il punto su cui collassa da decenni la funzionalità della cosiddetta pubblica amministrazione soprattutto nel Mezzogiorno, sotto scacco per scarsità ed inadeguatezza generazionale del personale, ma anche per le disfunzionalità dei suoi “derivati”, leggi partecipate e società di servizi. Vasto programma, mi rendo conto, ma s’ha da fare».
In che modo bisogna valorizzare il patrimonio immobiliare del Comune di Napoli? È necessario vendere alcuni immobili?
«Non sono un tuttologo, ma credo che un buon assessorato al patrimonio dovrebbe essere in grado di capire cosa dedicare del patrimonio a sedi della macchina comunale, spegnendo fitti inutili, cosa alienare, cosa mettere a reddito, cosa destinare a misure di welfare abitativo, stante le grandi sofferenze sociali in essere».
La vostra idea di centro riformista come si colloca in questa fase delicata della politica italiana tra elezioni del nuovo presidente della Repubblica e Politiche in programma tra poco più di un anno?
«Se allude al Think Tank messo in piedi con autorevoli amici, non siamo né saremo alcun micro-soggetto politico. Sarebbe ridicolo. Si vuole dare solo una mano ideativa a decisori pubblici. Che raccoglieranno quel che riterranno sensato, se lo sarà, e se vorranno. Punto».
Alberto Angela e la sua trasmissione “Stanotte a Napoli” hanno inorgoglito l’intera città. Lei che idea si è fatto del servizio andato in onda su Rai2?
«Onestamente per essere orgoglioso di Napoli personalmente non avevo bisogno della pur benemerita serata di Alberto Angela. Però con sincerità devo dire che non apprezzo l’uso politico mediatico che se ne fa. È una stata una bella serata di promozione dell’attrattività di Napoli. Però tutte le cose attrattive mostrate non le abbiamo fatte noi, cioè le ultime due o tre generazioni. Tanto è vero che in trasmissione se le intestava Carlo di Borbone. Noi abbiamo fatto molte delle cose che non vanno e che ovviamente non potevano esserci nel tipo di serata propostoci da Angela. Ecco io penso che sulle basi dell’orgoglio della nostra storia e della benevolenza paesaggistica del Creato, dovremmo porre rimedio con umiltà alle cose che non vanno, con un occhio attento non ai punti di forza che abbiamo ovviamente, ma ai punti di debolezza. Un sano riformismo amministrativo nasce solo su questa assunzione di responsabilità. Non ho più voglia di assistere alla celebrazione dei nostri “primati” passati, perché il rischio è di restare ancora fotografati dalla corrosiva satira di Leopardi ne I nuovi credenti, ostili al suo pessimismo, sulla “filosofia” dei napoletani: «E in breve accesa/ d’un concorde voler tutta in mio danno / s’arma Napoli a gara alla difesa dei maccheroni suoi; ch’ai maccheroni / anteposto il morir, troppo le pesa». Ecco cerchiamo di non morire di incapacità autoconsolatoria. Sentite a me, avrebbe detto Eduardo, a Napoli è meglio essere un po’ apocalittici che troppo integrati».
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