Mare fuori è una delle serie più viste nelle ultime settimane. Ideata da Cristiana Farina, appassiona tantissimi giovani e, rispetto a Gomorra che ha scelto una tematica ben precisa, prova a far capire che lo Stato c’è e offre una seconda possibilità ai giovani che si trovano negli Istituti minorili. Mercoledì 22 dicembre andranno in onda su Rai 2 gli ultimi due episodi della seconda stagione, diretta dai registi Ivan Silvestrini e Milena Cocozza (il regista della prima stagione Carmine Elia).

Mare fuori racconta le storie di un gruppo di ragazzi rinchiusi nell’Istituto di Pena Minorile (IPM) di Napoli, liberamente ispirato al carcere di Nisida. I detenuti hanno difficili trascorsi familiari: la maggior parte proviene da un sistema che non ha scelto ma da cui è difficile o non vuole uscire, altri sono stati arrestati per crimini non commessi o per aver fatto scelte sbagliate dettate dalla necessità. Ad aiutarli ci sono la direttrice, il comandante della polizia penitenziaria, l’educatore e le guardie, che cercano di fare del loro meglio per dare una seconda possibilità ai detenuti e per far capire loro che una strada diversa esiste ed è possibile.

All’interno della serie educatori e agenti affrontano le problematiche dei ragazzi con molta sensibilità, crede che questo avvenga anche nella realtà?
«(Ivan Silvestrini) Una delle attrici della serie è una volontaria del carcere di Nisida, come lei sicuramente ci sono molte figure che cercano di recuperare i ragazzi. I racconti che abbiamo ascoltato non sempre avevano un lieto fine ma è ammirevole la caparbietà di chi cerca di salvarli, e anche se solo uno su 100 cambia strada è una vittoria».

Pino, Carmine, Filippo: quasi tutti i protagonisti della serie hanno un talento, nella maggior parte dei casi nascosto. Come lo si riesce a far emergere in carcere?
«(I.S.) Ci sono mille strade diverse ma già prendere coscienza di avere un talento e provare a puntare su quello è un primo passo importante. Il problema è quando si perde la speranza di un ‘fuori’ pronto ad accoglierti. Il titolo di questa seria, rimanda alla speranza, ovvero c’è il mare oltre le sbarre».

Nella realtà, invece, quanto è difficile il reinserimento dei ragazzi in società?
«(I.S) Molto. La serie racconta poco il dopo carcere ma per ora i tentativi di reinserimento in società falliscono tutti. Sono sicuro, però, che per chi commette reati da giovane c’è più possibilità di incontrare buoni esempi e cambiare strada. Mare Fuori cerca di raccontare e valorizzare la sensibilità di questi ragazzi e vuole ricordare che la speranza è l’ultima a morire».

Rispetto a Gomorra, Mare Fuori lancia messaggi positivi e fa capire che lo Stato c’è ed è disponibile a riabilitare tutti…
«(I.S.) Io adoro questa serie ma, a differenza di Mare Fuori, racconta solo l’educazione criminale di una generazione e mostra un mondo di persone che non hanno mai neanche un dubbio su ciò che stanno facendo, un mondo senza il bene. È molto affascinante per chi è interessato alle dinamiche del male, Mare Fuori vuole però contrapporre a questa educazione criminale una contro educazione morale».

Quale deve essere il ruolo delle Istituzioni una volta usciti dal carcere?
«(I.S.) È molto difficile che i ragazzi uscendo trovino un mondo accogliente. Noi abbiamo girato al Molo Beverello e lì c’è l’associazione “Scugnizzi a vela”, un piccolo cantiere che accoglie ragazzi difficili. Il ruolo delle associazioni sicuramente è molto importante».

Artem (Pino nella serie, ndr), tre anni fa accoltellato in una zona della movida napoletana. Perché c’è questa violenza dilagante tra i giovani, spesso gratuita?
«(I.S.) Credo sia un modo di affermare sé stessi, il più triste che c’è, ma forse oggi la società offre pochi altri modi di poter emergere. Dovremmo offrire alle nuove generazioni dei valori e delle opportunità».

Di questa serie televisiva, cosa si porterà dietro per sempre?
«(I.S.) Non avevo mai girato una serie a Napoli, avevo un’immagine della città abbastanza selvaggia, Arrivando qui, invece, ho trovato una realtà completamente diversa e ciò che porterò per sempre con me è l’affetto ricevuto dai ragazzi. Mentre giravamo le scene più toccanti tra un ciak e l’altro, alcuni degli attori mi abbracciavano e continuavano a piangere per non perdere l’intensità dell’interpretazione. Non capita spesso che un attore entri così in sintonia con il regista».
«(Milena Cocozza) Senza dubbio l’umanità dei ragazzi che ho incontrato, e soprattutto l’incontro con Artem. La sua storia mi ha colpito moltissimo. Quando ci siamo incontrati per la prima volta, lui mi studiava, ha una sensibilità fortissima, voleva capire se poteva fidarsi di me oppure no. Mi ero appena trasferita a Napoli, lui mi ha cercata e abbiamo trascorso un’intera giornata insieme, mi ha raccontato la sua vita, una storia incredibile. In lui ho visto davvero cosa vuol dire il riscatto».

Pensa che il tema dei minori in carcere sia poco affrontato?
«(M.C.) Assolutamente sì. Se ne parla poco in generale e ancora di meno in tv. Credo che questa sia la prima serie sull’argomento, non ci sono film o serie tv che raccontano la vita dei minori in carcere. La grande differenza che ho riscontrato qui rispetto agli istituti di pena per minori che ci sono nel resto d’Italia è che a Napoli il 90% dei detenuti è napoletano, altrove invece si riscontra una percentuale molto alta di detenuti stranieri».

In Mare fuori il carcere appare davvero una misura per rieducare chi vi entra. Un’immagine che si discosta parecchio da quella reale dell’istituzione carceraria.
«(M.C.) Sì. Credo che il carcere dovrebbe essere sempre volto al recupero dei detenuti, non può essere solo punitivo. Mi fa paura pensare al carcere come un’istituzione che punisce e basta. Per i minori, però, posso dire che si fanno tantissimi tentativi per recuperarli, sia all’interno del carcere con laboratori e lezioni per insegnargli dei mestieri che fuori dando. Il lavoro che si fa con i minori è diverso rispetto a quello che si fa con gli adulti».

Come dovrebbe cambiare il sistema carcerario?
«(M.C.) Penso che si debba fare un lavoro di pacificazione con il mondo esterno. Non mi sento di riconoscere il carcere come un’istituzione punitiva e basta. Credo ci sia bisogno di una forma di assistenza sociale e di supporto psicologico ed economico per chi delinque».

Qual è il messaggio più importante che lancia la serie?
«(M.C.) Il concetto che se un minore sbaglia, la responsabilità è sempre di un adulto. I ragazzi crescono seguendo degli esempi e Mare fuori pone l’accento proprio su questa responsabilità degli adulti. E poi il tratto distintivo della serie è il sentimento, i ragazzi vivono la loro condizione di detenuti con sofferenza e vedo che questo sentimento di rimorso e sofferenza arriva moltissimo ai giovani che la guardano. In carcere c’è anche amicizia, amore, rimpianti, e soprattutto c’è una chance».

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Giornalista napoletana, classe 1992. Affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.