Lo 'scontro di civiltà'
Perché la democrazia si può esportare anche nelle teocrazie islamiche (e non solo)
Nelle carte antiche le terre sconosciute venivano indicate con “hic sunt leones”, qui ci sono i leoni. Noi siamo in un mondo pieno di leoni. Non ci sono soltanto una guerra ai confini dell’Europa, il ginepraio mediorientale, il virus del terrorismo islamico, il pericolo di uno di uno “scontro di civiltà” dalle dinamiche imprevedibili.
Ci sono anche il carattere sempre più rischioso delle società investite dalla rivoluzione digitale, il boom demografico del continente africano, l’esplosione dei conflitti etnici, gli squilibri ecologici, la diffusione degli arsenali nucleari, una globalizzazione in cui si allarga la forbice della ricchezza e del potere tra i popoli. Ritorna così in primo piano il tema dei diritti, vecchi e nuovi. Dei diritti umani, dei diritti del cittadino, dei diritti del lavoratore. E di quelli rivendicati dalle pacifiche rivoluzioni novecentesche delle donne, della scienza e della tecnica. Essi coprono ormai tutto l’arco della vita: la nascita, l’esistenza, la morte. Al limite estremo di questo discorso c’è (c’era) il diritto di “ingerenza umanitaria”, ovvero la volontà di non rimanere passivi di fronte alle tragedie del pianeta.
In Iraq prima, in Afghanistan dopo, in Siria oggi, è stata definitivamente sconfitta l’idea che la democrazia si possa esportare? Sembrerebbe di sì. In verità, dando un’occhiata alla storia umana, numerosi regimi politici sono stati esportati e importati nel corso dei secoli. Per venire alla democrazia, lo stesso costituzionalismo da cui ha avuto origine si è diffuso in Europa grazie alle baionette napoleoniche. Inoltre, la rinascita dei sistemi democratici nel secondo dopoguerra è legata anche alla vittoria delle truppe americane contro il nazifascismo. Senza quelle “occupazioni militari” probabilmente tale rinascita non avrebbe visto la luce.
Esportare la democrazia, dunque, si può. Tuttavia, aggiungeva Giovanni Sartori, non sempre e non dovunque. Perché la democrazia o, più esattamente, la liberaldemocrazia può trovare ostacoli insormontabili soprattutto dove i proclami dei mullah contano più dei voti. È meglio allora essere realisti, e accantonare ogni difesa dei diritti – sociali, civili e politici – su cui si fonda la democrazia in occidente? In ogni angolo del pianeta, che siano i monaci buddisti, gli studenti di Hong Kong o le donne iraniane, ci sono centinaia di migliaia di persone che mettono in gioco la propria vita e lottano per conquistare proprio quei diritti.
Quelle persone si sentirebbero tradite se si sentissero dire che religione, costumi e tradizioni rendono i loro paesi impermeabili a qualunque avanzamento della cittadinanza democratica. Certo, il ricorso alle armi non basta. Bisogna trovare nuove strade – politiche, economiche, diplomatiche – capaci di sfidare altre culture (e non penso solo alle teocrazie islamiche) sul terreno dell’affermazione di quei valori di libertà e di giustizia sociale che non sono (laicamente) negoziabili. Ma – ripeto – esportare la democrazia si può. Anzi, si deve.
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