Sbuffa il vecchio democristiano che continua ancora a frequentare il Transatlantico di Montecitorio: «La storia si ripete, ogni qualvolta sta per rifiorire un accenno di Democrazia cristiana il progetto viene affossato… Arriva la magistratura e salta». Sorridono i diccì di lungo corso come se in fondo si aspettavano questo ennesimo destino. Ed è vero che questa volta più che in passato sembravano esserci le condizioni. Forse perché hanno sempre considerato Silvio Berlusconi un freno alla loro rinascita. E dal giugno del 2023 il Cavaliere non c’è più. O fors’anche perché dopo trent’anni pensavano che il sentimento anti-democristiano diffuso nel Paese per almeno sei lustri fosse finito in prescrizione.

«Il centro – argomentavano prima dell’ultima bufera giudiziaria – in tutti i Paesi europei è un punto di equilibrio. In Spagna e in Germania è così. Il Ppe è azionista di maggioranza in Europa. Perché non può succedere da noi?». Insomma, questa volta il fiore della Dc stava proprio per rinascere grazie alla federazione tra Forza Italia e Noi Moderati, partito quest’ultimo dentro cui è confluito il cespuglio di Giovanni Toti. Una Balena Bianca ancorata nel centro del centrodestra. Pesarsi alle elezioni europee sarebbe stato certo un buon test per consolidare il progetto politico. Di sicuro, raggiungere o superare il 10% avrebbe reso la nuova casa dei moderati attrattiva a tante forze politiche che oggi gravitano nell’area centrista. Come ad esempio Azione di Carlo Calenda, Italia Viva di Matteo Renzi.

Ora però piomba su questo progetto di Dc 2.0 un’inchiesta che coinvolge uno dei leader di Noi Moderati, vale a dire Toti, mettendone in discussione la sua classe dirigente e denunciandone le criticità sulla ricerca del consenso. Per di più un’inchiesta che arriva a tre settimane da una votazione che potrebbe cambiare la geografia dell’Europa e degli schieramenti. In sintesi, un mezzo disastro di immagine. «Non può rinascere una Dc di destra. Tutto chiaro, no?», sbuffa ancora una volta l’ex dicci nel corridoio dei passi perduti di Montecitorio. E perché? «Non può rinascere perché vogliono impedire che l’area di centro sia decisiva nel rafforzamento del centrodestra».

Una comunità, quella democristiana di centrodestra, che nel 1994 si è ritrovata senza alcun riferimento. Nei giorni drammatici della diaspora centrista post Tangentopoli chi non ha sposato la causa del centrosinistra è stato costretto ad accettare l’idea berlusconiana di una coalizione extra large con dentro gli ex fascisti e i leghisti del nord. L’auspicio nemmeno tanto velato era di provare a istituzionalizzare il Cavaliere di Arcore. Impresa complicata vista la complessità del personaggio che non ha mai nascosto di detestare i professionisti della politica. Figurarsi i bistrattati democristiani. Alla fine è successo il contrario. Silvio Berlusconi ha sì inglobato una parte di centristi ma ne ha limitato sempre il raggio di azione. Basta vedere cosa è successo a Marco Follini e Pierferdinando Casini.

Dopodiché sono state le inchieste giudiziarie a indebolire i tentativi di rafforzamento dell’area centrista nella coalizione moderata. Le mire dell’Udc – che a un certo punto ambiva al 10% – sono state ridimensionate dalle indagini che hanno coinvolto Totò Cuffaro detto “Vasa vasa”, che da solo valeva mezzo partito, e che è stato condannato in via definitiva per favoreggiamento alla mafia. Tutto da rifare, dunque. Le carte si mescolano. Il centrismo continua a sperare. E la speranza arriva quando Angelino Alfano decide a un certo punto del suo percorso di staccarsi da Berlusconi e dal Popolo della Libertà. L’ex delfino di Arcore sigla un patto generazionale con l’allora presidente del Consiglio Enrico Letta, anche lui di formazione democristiana.

I due rappresentano l’ala destra e l’ala sinistra del neo-centrismo. Letta supportato dal Partito democratico e dai vari cespugli di sinistra e catto-democratici. E Alfano punto di riferimento di un centrodestra di governo più di centro che di destra, ancorato in Europa nel Ppe, senza più l’etichetta di figlio del Cavaliere. Da vicepresidente del Consiglio pone le basi per la nascita del Nuovo Centrodestra, contenitore che accoglie tanti delusi del Popolo della Libertà e nostalgici della vecchia Balena Bianca. L’operazione sembra funzionare fino a un certo punto. Salvo poi essere indebolita da una serie di inchieste giudiziarie che coinvolgono prima Maurizio Lupi, oggi leader di Noi Moderati, poi Nunzia De Girolamo, e poi ancora altri dirigenti del Ncd. In queste ore la storia si ripete. Ed è il motivo per cui gli ex Dc continuano a sorridere sotto i baffi. «In questo Paese una Dc di destra non può rinascere, ve lo diciamo noi che combattiamo da 30 anni…».

Federico Rinaldi

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