La mobilitazione di Cgil e Uil
Piazze piene, teste vuote: quello sciopero era insensato
È fin troppo ovvio ricordare che lo sciopero è un diritto fondamentale nelle società democratiche che, peraltro, incominciano a scarseggiare nel mondo. Dunque, si è detto da molti, il 16 dicembre: è stata più che legittima la manifestazione di dissenso e ci si potrebbe fermare qui, ma l’osservazione, chiusa in sé, nella sua generalità, non motiverebbe la mia richiesta di ospitalità al Riformista.
Dopo qualche giorno dall’evento, questa mia richiesta non nasconde affatto il suo carattere intensamente polemico. La mia sintesi è questa: piazze piene, teste vuote. Non mi riferisco naturalmente al popolo che ha riempito alcune piazze, e non entro nella contesa sui numeri. Non contesto che in quelle piazze fossero presenti persone e gruppi sociali che vivono anche drammatiche difficoltà, aggravate dalla pandemia. Contesto vivamente che la risposta a pur imponenti fenomeni di impoverimento sia, nelle condizioni date, lo sciopero generale e il riempimento delle piazze: l’espressione “teste vuote” si riferisce a chi ha pensato questo tipo di iniziativa, ovvero ai due segretari confederali. Provo a esporre le mie ragioni che muovono da un dato che mi è parso tanto ovvio quanto generalmente e improvvidamente ignorato.
Non è il momento di riempire le piazze se si predica di tenere le distanze, se si lotta contro gli assembramenti. Il diritto innegabile a fare qualcosa che vede una mobilitazione di massa in tempi normali va forse un po’ discusso in tempi di pandemia, quando si chiede alle singole persone di non riunirsi con altre tre o quattro e la polizia si mobilita contro le movide giovanili all’aperto. Proprio il sindacato non dovrebbe essere insensibile al problema che ho posto, con buona pace di alcuni amici filosofi che vedono ovunque il mostro del potere in azione. Ma c’è ben altro da dire sul merito politico. Contro chi si manifesta? Contro la “manovra” di bilancio, dunque contro il governo, la sua maggioranza, il suo Presidente, che, tra l’altro, non ha accettato compromessi dell’ultimo minuto, benissimo, contro una abitudine consolidata. Qualche manifesto contro Draghi campeggiava qua a là, tutto legittimo, ma, essendo Draghi il responsabile ultimo della “manovra”, è questo il momento di mobilitare il “popolo” contro la sua azione? Ha dei limiti la “manovra”? Certo, si può anche motivare, è stato motivato, anche se il governo ha messo sicuramente in campo molto denaro per aiutare i più disagiati, e questo si può documentare.
Ha perfino avviato, dopo decenni, una prima riforma delle tasse, accentuandone la progressività. Ora, una mobilitazione generale di popolo finisce con l’individuare nel governo Draghi il nemico da battere, un nemico insensibile al grido di dolore che viene dalla società. Ma è così? Ci si rende conto di quello che Draghi sta facendo per l’Italia, a quale livello sta portando il nostro paese, con imprevisti riconoscimenti da ogni parte? E con un lavoro intenso per l’avvio del piano europeo che dovrà cambiare l’assetto della nostra società. Con una azione giudicata esemplare, e da imitare, contro la pandemia. Si sciopera contro il precariato, come se, con un colpo di bacchetta magica, che in questo caso si chiama “manovra”, si potesse combattere quella che è diventata la struttura del lavoro di oggi, per ragioni che hanno trasformato nel profondo la sua dimensione organizzata dei decenni trascorsi, un problema storico di dimensioni epocali. Ma no, sciopero generale, oggi. Certo, il governo Conte, quello sì era un governo riformatore, con quota cento, e il reddito di cittadinanza a chi lo richiede, e l’abolizione del reddito di inclusione, e i migranti lasciati ad arrostire al sole, o a rannicchiarsi al gelo, secondo stagione, all’entrata dei porti italiani.
Come dice, con passione vera e rispettabile, Fausto Bertinotti, finalmente è giunto in piazza il conflitto sociale. Ma è così? Possiamo chiamare con quel nome ciò che è avvenuto il 16 dicembre? Un assemblaggio confuso di tutto messo insieme “contro”? Il conflitto sociale è stato momento di lotta per l’egemonia nei momenti alti, e lotta su obbiettivi di volta in volta precisati e organizzati, proprio l’opposto di ciò che è avvenuto il 16, tutto mescolato “contro”. I due sindacati, unendosi al terzo che saggiamente non ha aderito, si riuniscano e lavorino in modo determinato e ragionevole su tempi e modalità. Il contro tutti (meno contro Meloni che è all’opposizione) non aiuta per niente la lotta contro le diseguaglianze. Il tema è grande, inutile creare illusioni suonando i tamburi. È il momento dell’unità, che non significa accettazione acritica di tutto, ma nemmeno confuso sventolio di bandiere nelle città dove ancora si sente il morso dell’emergenza.
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