L'editoriale
Polemiche da 25 aprile: lo svilimento fascista della memoria resistenziale

Anche quest’anno, come ormai accade con inquietante regolarità, il 25 aprile giunge carico di polemiche. La recente scomparsa del Papa ha indotto il Consiglio dei ministri a invocare «la sobrietà che la circostanza impone» per lo svolgimento delle celebrazioni della Festa della Liberazione. I funerali solenni, previsti per il 26 aprile, vedranno la partecipazione dei più alti rappresentanti delle istituzioni internazionali: una cornice che, di per sé, suggerisce misura e responsabilità. Tuttavia, non sono mancate accuse di strumentalizzazione del lutto, interpretato da alcuni come un tentativo di silenziare o ridurre la portata antifascista della ricorrenza.
Lo svilimento della memoria resistenziale
Tali critiche, per quanto discutibili nelle forme, riportano alla luce un tema profondo: il progressivo svilimento della memoria resistenziale, spesso manipolata da settori faziosi che tentano da anni di piegare la storia della Liberazione a interessi politici contingenti. Eppure, la Resistenza fu, e resta, un moto popolare autentico, capace di unire le culture politiche più diverse – cattolici, socialisti, liberali, comunisti – nella comune volontà di abbattere la dittatura fascista e respingere l’invasione nazista. Un’unione morale e civile che non ha precedenti nella nostra storia. Ecco perché fa male ricordare come molte commemorazioni, nel corso degli anni, siano divenute occasione di divisione, talvolta perfino di contestazione verso rappresentanti istituzionali democraticamente eletti. Ancora più grave è stato l’allontanamento – in certi casi l’espulsione – di ex combattenti e di simboli legati alle brigate partigiane ebraiche, in nome di una purezza ideologica che contraddice lo spirito stesso della Resistenza.
La provocazione
Se dunque il lutto per la scomparsa del Pontefice invita a un clima di raccoglimento, esso può anche offrire un’occasione preziosa: quella di restituire al 25 aprile il significato che gli è proprio, come festa unitaria della libertà riconquistata, fondamento della nostra democrazia. È un compito che interpella soprattutto le giovani generazioni, spesso confuse da una narrazione storica distorta e fuorviante, che cerca di sminuire il valore della lotta resistenziale o di ribaltarne il senso. In questo contesto, non stupisce che vi sia chi prova a delegittimare la resistenza armata del popolo ucraino contro l’invasione russa, dipingendola come una provocazione e non come una reazione legittima alla violenza. Ma una simile lettura, rovesciata e ambigua, ci riporta indietro nel tempo, come se anche i partigiani italiani avessero dovuto desistere dalla lotta armata per non provocare il nazifascismo.
Il significato rinnovato
Oggi, di fronte a nuove minacce all’ordine democratico – in Europa come altrove – il 25 aprile acquista un significato rinnovato. Proprio nella sobrietà e nella solennità imposte dalle circostanze si cela l’opportunità di ricomporre il senso autentico di questa festa. Non come vessillo di parte, ma come patrimonio comune di tutti i democratici italiani, chiamati a testimoniare, oggi più che mai, il valore della libertà, della giustizia, della resistenza al sopruso. Perché quei valori, ieri come oggi, non sono retorica: sono responsabilità.
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