Cos’è diventata la politica (o forse non “è diventata“, è così da decenni)? È quella attività che si svolge tra un’elezione e l’altra. Dal giorno dopo la sua vittoria, il nuovo, o la nuova, presidente degli Stati Uniti comincerà a pensare alle elezioni di mid-term e poi a come farsi rieleggere tra quattro anni, e così via. Stabilito questo, la questione diventa perciò come si fa a vincere e soprattutto a rivincere, dove quel “come fare” investe una marea di problemi, suggestioni, tecniche, risposte.

Qui cade a fagiolo questo interessantissimo e ampio libro, perfetto per chi studia o fa politica (o entrambe le cose, ma è raro), scritto da Luigi Di Gregorio,War room” (Rubettino). L’autore è docente di Comunicazione Pubblica, Politica e Sfera Digitale e di Web e Social Media per la Politica presso l’Università della Tuscia (Viterbo), ma poi è stato ed è consulente di vari organismi politici: dunque “vede” la materia da vicino, non in laboratorio, diciamo così. In questo libro c’è praticamente tutto su come funziona la politica nell’era post-televisiva, che a sua volta era succeduta alla Golden Age dei partiti di massa a forte caratura ideologica, oggi diciamo: novecenteschi.

«Giovanni Sartori circa una specificità della politica scrisse che “chi detiene il potere non detiene il sapere e chi detiene il sapere non detiene il potere”. In poche parole – afferma Di Gregorio, e questo pare essere l’assillo del libro – spesso chi fa politica non la studia e chi la studia non la fa». E infatti “War room” è un libro che dovrebbe essere letto dai politici e insieme dai collaboratori dei politici, e non a caso risulta molto accurata in questo senso la meticolosa ricognizione su come funziona “la squadra” negli Stati Uniti (la vera “War room” o se si pensa a Kevin Spacey, ad “House of cards”): non si tratta solo degli aspetti che riguardano la formazione del consenso e la solidità della leadership, ma di una più complessa “rete” di attività – anche regolata da apposite leggi – che compongono il quadro della lotta politica americana. Tenendo conto, come si diceva, che «campaigning e governing sono due fasi molto più simili di quanto lo erano alcuni decenni fa», c’è da dire che «nella politica contemporanea, mediatizzata, personalizzata e orientata al mercato, con un elettorato sempre più fluido e volatile, non si può fare a meno di una struttura concepita per gestire al meglio tutte le fasi della campagna permanente: quella elettorale quanto quella inter-elettorale, di governo. O meglio, se ne può anche fare a meno, ma a proprio rischio e pericolo».

Di Gregorio spiega nel dettaglio le trasformazioni, ma anche i tratti di continuità, del tipo di comunicazione politica in Italia, sicché il libro è anche un ottimo manuale di storia politica attraverso l’analisi della comunicazione politica e della costruzione della leadership. Certo, nei decenni moltissimo è cambiato: «”Quando andavamo in spiaggia papà indossava sempre la giacca e quando gli chiedevo una spiegazione lui mi rispondeva che essendo un rappresentante del popolo italiano doveva essere sempre dignitoso e presentabile”», scrisse Agnese Moro ricordando il padre, ritratto in giacca e cravatta anche sulla spiaggia.

Che differenza con il Salvini a torso nudo col mojito al Papeete! Quello scatto fotografico e quelle parole, «voglio pieni poteri», identificarono nello stesso momento la forza e la debolezza del leader leghista: a un messaggio forte, anche troppo, si accompagnava una debolezza di fondo. «Pieni poteri», ma per fare che? Di Gregorio ha ragione quando osserva che la tattica – inevitabilmente legata al presente – non vive senza strategia, cioè a un discorso proiettato sul futuro. Occhio dunque a non esagerare col “presentismo” perché prima o poi il respiro della politica può ingoiare e annichilire una pur abile capacità di manovra tattica: «Una buona strategia può compensare una comunicazione mediocre, mentre una comunicazione brillante spesso non compensa una strategia sbagliata». Nello scontro tra governo e opposizione, è il primo a partire svantaggiato. «L’aforisma di Giulio Andreotti andrebbe rovesciato: oggi il potere logora chi ce l’ha. Nell’overloading informativo in cui siamo immersi, catturare l’attenzione dell’elettore-consumatore è un’impresa titanica per la politica ed è sicuramente più facile per le opposizioni, che spesso si limitano a cavalcare le bad news (che fanno “naturalmente” notizia)».

Un po’ è vero: in Italia da decenni vince chi era all’opposizione, più o meno. Ma forse è più corretto non trarre una legge generale. Dipende da tante cose. Di certo diremmo, provando a interpretare Di Gregorio, che il leader è tale se guarda un po’ più in là: a tale scopo l’impressione che si ricava dal libro è che, da solo, il leader-candidato non ce la possa fare. Egli ha bisogno di una molteplicità di strumenti e di soggetti a sostegno clamorosa, persino la famiglia è uno di essi. E allora la lotta politica è una guerra tra esercito imponenti che devono sempre più usare armi scientifiche più che affidarsi all’estro personale del politico.