Naufraghi e salvataggi
Premesso che… se affogano creano meno problemi: strage migranti e demagogia politica
Non è obbligatorio farsi carico politicamente dell’infinita strage dei migranti che tentano di accostarsi al nostro Paese. Politicamente, dico: non nell’atteggiamento pubblico o privato di contrizione, ma appunto nell’assunzione del dovere effettivo, esecutivo, di rifiutare l’inevitabilità di quello stillicidio e di impegnare attenzione e risorse idonee a interromperlo. Non è obbligatorio. E infatti la generalità della classe politica e di governo sceglie di non farsene carico, sceglie di non mettere in cima a nessuno dei propri dossier quell’esigenza: salvare la gente che si mette in viaggio verso di noi e avvicinandosi a noi muore di fame, di sete, di freddo.
La scena dell’altro giorno, con la madre che affida al mare il cadavere del proprio figlio di quattro mesi, e poi muore anche lei, e poi muore affogato un altro che tentava di recuperare il corpo del bambino, e poi ne muoiono altri sette, e il barcone partito dalla Tunisia arriva a Lampedusa con meno problemi da risolvere, meno emergenze di cui lagnarsi, meno gente da sfamare e da sistemare, solo un mucchio di carne da seppellire: quella scena non è più che un elemento pulviscolare nella galassia di identiche e ripetute tragedie ormai senza numero, alle quali assistiamo non dico senza far nulla, perché non è così, perché c’è gente dello Stato e del volontariato che fa del suo meglio, ma senza che da parte di nessuno si formalizzi l’intendimento politico di cambiare le cose e si stenda un piano di interventi rivolti a far cessare questo andazzo di morte.
La politica, cioè la demagogia, del “premesso che”, impera anche in questo campo. “Premesso che non si può lasciare morire la gente in mare”: ma la gente in mare continua a morire. “Premesso che che bisogna salvarli”: ma tanti, troppi, non li salviamo. “Premesso che bisogna soccorrere chi è in stato di bisogno”: ma chi muore era in stato di bisogno, e non ha ricevuto soccorso. Si può decidere, e di fatto lo stiamo decidendo, che le cose stanno così e così devono restare. Si può persino decidere che potrebbe essere altrimenti, che si potrebbe fare altrimenti, ma che non lo si fa perché non si ritiene che sia urgente farlo, perché non ci sono i mezzi, perché non ci sono i soldi, perché le priorità sono altre, tutto quello che si vuole.
Una cosa non si potrebbe fare, ed è quella che invece stiamo facendo: abbandonarli alla morte raccontando di aver fatto il possibile affinché non morissero. Questo è il “premesso che”. Questa è la menzogna. Questo è sottrarsi al dovere di farsi carico di quelle vite a rischio di morte mentre si finge di adempiervi. Questo è accettare che quei morti si accatastino sulla responsabilità che non ci assumiamo.
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