“Io non so nulla, chiedete a lui” svicolava mercoledì il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. “Lui” in questione era il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni, il fedelissimo che Salvini ha piazzato al Viminale per personalizzare in chiave salviniana la gestione Piantedosi. Ministro e sottosegretario erano entrambi alla Camera reduci dal confronto tecnico in commissione Affari costituzionali e Trasporti sul decreto n.1 del 2023 recante “Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori”, il cosiddetto decreto Ong, quello che obbliga le navi a fare un solo salvataggio e ad andare in porti scomodissimi perché lontani dall’area di salvataggio. E avevano entrambi appena appreso la bocciatura per manifesta incompatibilità del pacchetto di emendamenti Lega che nei fatti avrebbero fatto rivivere le norme di Salvini ministro dell’Interno: stretta su permessi di soggiorno, ricongiungimenti familiari e protezione speciale, rafforzamento degli hot spot e dei Centri per le espulsioni.

Il pacchetto dei sedici emendamenti presentati da Igor Iezzi è stato bocciato due volte: mercoledì quando i due presidenti, Nazario Pagano di Forza Italia e Salvatore Deidda di Fratelli d’Italia, lo hanno respinto con il bollino dell’incompatibilità degli uffici legislativi della Camera; ieri mattina quando anche il ricorso è stato cestinato. “Siamo molto sorpresi dalla decisione degli alleati, usano cavilli tecnici per nascondere una scelta politica” ha protestato il capogruppo leghista. Iezzi scomoda chiavi di lettura politica: “Mi sono ritrovato solo, senza alleati in questa battaglia”. Fratelli d’Italia e Forza Italia non hanno presentato emendamenti: per loro è sufficiente quanto già scritto nel dispositivo del decreto e promosso, non con troppo entusiasmo, dal Quirinale. Annusata l’aria, la Lega ha tentato il blitz ed è riuscita a comunicare una volta di più il suo pugno di ferro contro gli immigrati. Scaricando su Forza Italia e Fratelli d’Italia un presunto “disinteresse” rispetto al tema.

La narrazione più facile: “Colei che (Meloni, ndr) voleva issare il muro navale ha fatto marcia indietro su tutto”. Fa sempre comodo in una campagna elettorale, quella delle regionali, decisiva per il destino dello stesso Salvini e gli equilibri di maggioranza. Ma lo scontro tutto interno alla maggioranza sul decreto Ong è una storia che, se letta in controluce, va oltre lo strappo della Lega con Fi e Fdi e offre anche altre chiavi di lettura. Racconta ad esempio di una nuova vistosa crepa dentro la maggioranza: la frattura tra due ex amici, i due Mattei del Conte 1, l’ex capo di gabinetto e ora ministro Matteo Piantedosi e il segretario della Lega ed ex ministro del’Interno Matteo Salvini. Se nel totoministri in ottobre tutti abbiamo raccontato come Piantedosi sarebbe stato un ministro in quota Lega, alter ego di Salvini, per cui la nomina dell’uno avrebbe soddisfatto pienamente l’altro, già allora in realtà tra i due non c’era più l’empatia di un tempo.

La distanza ha iniziato a separarli mentre Piantedosi era prefetto di Roma. Sempre più lontano da Matteo, sempre più vicino all’astro nascente Giorgia. Fino all’ammissione ascoltata l’altro giorno nei corridoi al quarto piano della Camera dove affaccia la Commissione Affari costituzionali. “Guardate che io non sono leghista” lo hanno sentito dire mentre commentava il pacchetto Iezzi. Il “chiedete a lui” detto ai giornalisti e rivolto a Molteni, significa di un ministro tenuto all’oscuro di correzioni che sarebbero intervenute direttamente sul suo testo. Un vero e proprio sgarro. Ma non finisce qua. La vicenda decreto Ong è paradigmatica rispetto all’indice di collaborazione nella maggioranza. Nella discussione tutta tecnica con cui ieri mattina sono stati discussi e bocciati i ricorsi della Lega contro l’inammissibilità, pare si sia espresso contro gli emendamenti anche il presidente della Camera Lorenzo Fontana, un altro leghista doc di assoluta fede salviniana. Può tutto questo essere un gioco delle parti? C’è da dubitarne.

La verità è che nella Lega si stanno affilando le armi e aggiornando i posizionamenti in vista delle regionali: se Fratelli d’Italia schiaccerà ben sotto la doppia cifra gli alleati, ci saranno conseguenze un po’ ovunque. Tranne che in Fratelli d’Italia. Al cui interno però si registrano le prime rese dei conti, come l’esclusione di Fabio Rampelli e dei suoi Gabbiani (che una volta aerano anche di Meloni) da ogni incarico e ruolo. Il testo del decreto è atteso in aula il 2 febbraio. Sono circa duecento gli emendamenti da votare. Non è escluso che la Lega ci riprovi. In aula magari. Salvini smorza e nega tensioni.

La linea di frattura sull’immigrazione va a sommarsi alle molteplici altre. Sui balneari, sulla benzina (Meloni accusa Salvini di aver scatenato il caos con i benzinai), sul Pnrr, adesso gli immigrati. In generale la giustizia. Ieri Salvini poteva gongolare per aver strappato la vicepresidenza del Csm al candidato di Meloni. Le ha fatto saltare il filotto ministero-Csm, cioè controllo totale sulla giustizia. E non sarà un caso se ieri mattina alla solenne cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione nelle prime file mancassero per l’appunto Giorgia Meloni e Ignazio La Russa. Sarebbe stata la loro prima volta tra gli ermellini.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.