È stato pubblicato a dicembre da Inapp – l’Istituto Nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche – il Gender Policies Report 2021. Il Rapporto – realizzato con il contributo del Fondo Sociale Europeo 2014-2020, il principale strumento con cui l’Ue sostiene l’occupazione e assicura opportunità più eque per tutti – indaga, dati alla mano, il mondo del lavoro che emerge dalla pandemia secondo una prospettiva di genere.

Il report si apre con una riflessione di metodo: fino a quando non saremo in grado di superare l’approccio gender blind che contraddistingue ancora sia la ricerca scientifica che la maggior parte delle politiche pubbliche, in tutte le fasi che le compongono, non riusciremo a costruire una “nuova normalità” più equa per uomini e donne. I dati Inps sulla così detta ripresa occupazionale dimostrano come la componente femminile del mercato del lavoro stia ancora pagando un prezzo più alto rispetto a quella maschile, contrassegnata da due fenomeni principali: la precarietà occupazionale e il ruolo crescente del part time involontario. E per quanto riguarda l’imprenditoria femminile? Sebbene negli ultimi decenni le donne abbiano ottenuto enormi progressi sul fronte dell’istruzione, sono ancora in ritardo rispetto agli uomini in termini di esperienza imprenditoriale e manageriale principalmente a causa del carico di lavoro non retribuito, dovuto alle esigenze di cura familiare.

Il mondo dell’imprenditoria guidato da donne è principalmente composto da imprese di micro o piccole dimensioni. Uno dei fattori che ne limita le dimensioni e la crescita è la difficoltà di accesso ai finanziamenti, e in particolare di accesso al credito: anche quando le donne sono ritenute qualificate per ottenere un finanziamento, le istituzioni finanziarie sono più restie a proporre loro le stesse condizioni degli uomini, scoraggiandole di fatto dal presentare richiesta. Un elemento essenziale per sostenere e favorire l’imprenditorialità femminile è il Gender procurement: un dispositivo messo in campo dalla Commissione europea che introduce requisiti sulla parità di genere negli appalti pubblici. Si tratta di una strategia innovativa che punta alla promozione della parità di genere nei rapporti di acquisto e di fornitura di ogni tipo, pensata proprio per creare le condizioni affinché le donne possano realizzarsi ed esprimere tutto il loro potenziale: a beneficiarne – come ha rilevato alcuni anni fa la Banca mondiale in un Rapporto – sarebbe la produttività di tutti i lavoratori. È stato riscontrato, infatti, che l’eliminazione delle barriere che impediscono alle donne di entrare in determinati settori o occupazioni aumenterebbe la produzione per lavoratore dal 13 al 25%.

L’International Trade Center (ITC), agenzia congiunta dell’Organizzazione mondiale del commercio e delle Nazioni Unite, ha pubblicato nel 2020 una sorta di guida per far funzionare gli appalti pubblici per le donne, all’interno della quale ci sono tre casi di studio che riguardano paesi in via di sviluppo: il Cile, il Gambia e la Nigeria. Quello che è stato osservato nei tre paesi è che, nonostante gli sforzi fatti, gli enti appaltanti dovrebbero ulteriormente snellire le procedure per i requisiti di ammissibilità tecnici e finanziari. Ma il problema della semplificazione burocratica riguarda anche l’Italia, dove le sperimentazioni del gender procurement sono state tre: il Ministero dell’Economia e finanza (Mef), la Regione Lazio e la Regione Puglia. Tutte e tre possono rappresentare precedenti importanti per essere riuscite a integrare nei loro sistemi di programmazione il Gender procurement.

La prima ad averlo adottato è la Regione Lazio. Nel 2020, la Direzione regionale centrale acquisti (Drca) – la struttura che ha il compito di promuovere un sistema integrato di governo della spesa regionale per beni e servizi – ha iniziato a inserire nelle gare regionali per l’affidamento di forniture di servizi, criteri premiali a quei concorrenti che garantiscono parità di genere all’interno delle proprie organizzazioni. Tra i criteri introdotti: la percentuale di donne in ruoli apicali, l’assenza di verbali di discriminazione di genere, il possesso della certificazione internazionale di Social Accountability (SA 8000) che qualifica le organizzazioni che investono in sostenibilità sociale (ad esempio in asili nido aziendali o in tutele per la conciliazione tra vita e lavoro). Il principio è che più parità di genere hai, più punti guadagni per aggiudicarti la gara d’appalto: la Regione Lazio ha bandito così quattro gare che valgono complessivamente 190 milioni di euro e che premiano le aziende attente alle politiche di genere. Con risultati incoraggianti: tutti gli operatori economici risultati aggiudicatari sono in possesso di almeno una certificazione sulla responsabilità sociale e possono vantare l’assenza di verbali di discriminazione di genere.

Meno confortanti appaiono le evidenze riguardo alla percentuale di donne in ruoli apicali (Cda, amministratori e dirigenti): solo il 30% dei fornitori che erogherà i servizi previsti in gara, presenta nella propria organizzazione una percentuale superiore al 40% di donne in posizioni di rilievo, mentre i restanti si attestano su valori inferiori al 20%.
Nell’immediato futuro gli appalti pubblici svolgeranno un ruolo chiave nella fornitura di beni e servizi vitali ai cittadini e nella creazione di opportunità per le piccole e grandi imprese. È chiaro che, in assenza di un quadro regolamentare di più ampio respiro, l’introduzione di criteri premiali rispetto alla parità di genere non possa bastare a cambiare in modo strutturale il mercato del lavoro. Ma, esattamente come le misure fiscali, il gender procurement è uno strumento in grado di svolgere una funzione di regolazione e incentivo alla riduzione delle disparità di genere nel mercato del lavoro regionale. La strada è ormai aperta.

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Ho scritto “Opus Gay", un saggio inchiesta su omofobia e morale sessuale cattolica, ho fondato GnamGlam, progetto sull'agroalimentare. Sono tutrice volontaria di minori stranieri non accompagnati e mi interesso da sempre di diritti, immigrazione, ambiente e territorio. Lavoro al The Watcher Post.