«PNRR Edition. Tecnologia, lavoro, persona» è il titolo dell’edizione di quest’anno di “Luci sul Lavoro”, il festival dedicato al mondo del lavoro che si svolge ogni anno a Montepulciano, entro la cornice della Fortezza medicea del borgo medievale. A cura di Eidos – Istituto Europeo di Documentazione e Studi Sociali – in partnership con il Comune, la tre giorni di convegni vede confrontarsi rappresentanti delle istituzioni, parti sociali, categorie produttive e mondo professionale e accademico, sulle questioni principali che investono le politiche del lavoro e l’occupazione.
Uno dei dibattiti, “Contrattazione collettiva: investimenti e tecnologia”, è stato curato da Uiltec, il sindacato dei lavoratori tessili, dell’energia e della chimica afferente alla Uil.

Negli anni, i governi hanno dedicato importanti finanziamenti e strutture tecniche a Industria 4.0, ma i risultati sono stati molto modesti. Solo alcuni settori e aziende hanno fatto investimenti, mentre la stragrande maggioranza delle piccole e medie imprese è rimasta al palo. La pandemia ha arrestato questo processo che, pure faticosamente, andava avanti dal 2011. Per uscire da questa empasse, l’Ue ha previsto un pacchetto da 750 miliardi di euro (Next Generation EU) di cui all’Italia ne spettano circa 200. Ma quanto il Paese sia in grado di realizzare domani quello che ha programmato oggi, al momento, non è molto chiaro. Tanto più che il PNRR presuppone un sistema di relazioni industriali in perfetta salute, “vero elemento di competitività” dell’economia nazionale a cui “legare ciascun investimento produttivo”, spiega Paolo Reboani, economista del lavoro, oggi direttore del Comitato Economico e Sociale della Fondazione Craxi: “Il problema è che soffriamo una doppia debolezza: la crisi dei corpi intermedi e una scarsa cultura industriale”. Entrambe, sostiene l’ex direttore generale del Ministero del Lavoro, rendono particolarmente accidentato il modo in cui le risorse stanziate “atterreranno”, come “spenderle nella maniera più intelligente possibile” e con quali “ricadute sulla questione salariale”.

Chi sfida il luogo comune secondo cui questo piano sia un’iniezione di risorse senza precedenti nella storia dell’Ue e vada considerata come un’opportunità da non sprecare, è Davide Calabrò, direttore Risorse Umane di Versalis, società del gruppo Eni impegnata nei settori della petrolchimica e della chimica da fonti rinnovabili. «Nel Pnrr non si risolvono tutte le questioni in campo», sostiene il dirigente Eni, «e 200 miliardi sono ben poca cosa rispetto ai grandi temi globali se poi non diventano l’elemento catalizzatore per ulteriori investimenti». E si appella alla necessità di costruire “buone relazioni” tra imprese e sindacati, con “capacità di ascolto e competenza”. Una urgenza, tuttavia, che si scontra con la «mancanza della capacità di fare sistema da parte di tutti gli attori in campo»: Tiziana Bocchi è segretaria confederale della Uil e interviene indicando quello che, secondo lei, è il modello su cui lavorare e che definisce di “partecipazione strategica”: «un modello partecipativo sempre più forte all’interno dell’azienda, del sindacato e del livello territoriale con cui si instaura la relazione».

Solo tramite la «capacità di capire, la competenza e lo studio», il sistema Paese sarà in grado di ricostruirsi, anche perché il «mancato coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle politiche di intervento» da parte del governo, smaschera un tentativo di marginalizzazione dei corpi intermedi che non rende giustizia alla centralità delle relazioni industriali italiane e a cui, sottolinea Bocchi, «il sindacato per fortuna ha reagito facendo fronte comune».
Esiste, infine, un tema specifico che riguarda direttamente una delle sei missioni del PNRR: quella dedicata a “Inclusione e Coesione” e che prevede uno stanziamento complessivo di 22,6 miliardi per facilitare la partecipazione al mercato del lavoro, anche attraverso la formazione, il rafforzamento delle politiche attive del lavoro e l’inclusione sociale. In particolare, l’art. 47 del così detto decreto GovernanceDecreto Legge 77/21 convertito dalla Legge 108/2 – la cui finalità è definire il quadro normativo nazionale allo scopo di semplificare e agevolare la realizzazione dei traguardi e degli obiettivi stabiliti dal Piano.

L’articolo in questione prevede una “clausola sociale” che pone, a carico degli operatori economici l’impegno di assumere «una quota pari almeno al 30 per cento, delle assunzioni necessarie per l’esecuzione del contratto sia all’occupazione giovanile sia all’occupazione femminile». A sollevare la questione dell’effettiva realizzabilità della clausola, Michele Faioli, docente di diritto del lavoro presso l’Università Cattolica e direttore di Ssael, la scuola di studi avanzati di economia e lavoro avviata due anni fa da Uiltec. «Una complicazione in più per un Paese che dovrebbe semplificare», risponde con nettezza Paolo Reboani, secondo cui, l’unico lavoro che la clausola in questione sarà in grado di creare, sarà quello generato dalle cause giudiziali che si moltiplicheranno per avvocati e giuslavoristi. Meglio, allora, «adottare politiche di incentivazione rivolte ad alcune categorie e in alcuni ambiti». E stilare presto linee guida per fare chiarezza.

Parere condiviso anche da Bocchi che considera l’impegno di assunzione di donne e giovani per una quota pari al 30%, «un inserimento del tutto illogico che non risolve il sostegno (che manca) alla genitorialità, attraverso la cura dei servizi come asili nido per le giovani famiglie e il tema della discriminazione generazionale». A questo proposito, «esiste un tema di ingiustizia ai danni di chi ha superato i 35 anni che viene mandato via dalle aziende per assumere lavoratori più giovani e godere di una decontribuzione migliore». Meno netto nel giudizio che resta unanime nel giudicare la clausola del 30% come l’ennesimo “eccesso di burocratizzazione”, è Davide Calabrò: «Questo dell’inclusione lavorativa è un tema culturale enorme che in alcuni casi può tollerare anche forzature», almeno in numero pari agli alibi accampati dalle aziende per non assumere : «Mancano politiche attive – come in Francia – nei confronti delle famiglie e della parità di genere in ambito occupazionale».

«È caduto il muro di Wall Street: a questo punto torna in campo la politica»: Paolo Pirani, segretario generale di Uiltec tira le somme, citando una frase pronunciata da Gianni De Michelis, nel 2008. Un’altra epoca storica, quella, segnata dal fallimento della banca Lehman Brothers, il più grande nella storia delle bancarotte mondiali e dal crollo delle borse mondiali con perdite superiori al 10%. Ancora non si conosceva la portata della crisi che avrebbe attraversato il mondo, scombussolandone tutti gli equilibri.

Secondo Pirani, «viviamo una nuova condizione di incertezza»: si tratta di un “dato globale” di cui è fondamentale avere consapevolezza. Una “crisi complessiva” che attraversa molteplici transizioni: «Attraversiamo, come Paese, diverse transizioni: quella ecologica, quella digitale e la transizione demografica». Tutte e tre incrociano le grandi “questioni del Paese”: industriale, economica e sociale. Ma per attrezzare risposte adeguate, occorre «rinunciare alle ideologie e armarsi di pragmatismo: non possiamo permetterci il lusso di escludere alcune fonti se l’obiettivo del Paese è raggiungere la completa autosufficienza energetica e la necessaria decarbonizzazione».

Come «non è plausibile chiudere drasticamente centrali a gas e raffinerie – mentre quadruplicano le bollette di luce e gas – e l’Italia ancora non fa uso della tecnologia della cattura e stoccaggio del carbonio». Occorrono studio e competenza, e serve rimettere al centro la contrattazione collettiva: per questo, Pirani intende dare “forma stabile” alla scuola di studi avanzati Uiltec, avviata due anni fa. Un percorso che «provi a costruire una nuova classe dirigente», perché dal «recupero della nostra identità» e dal nuovo protagonismo competente di donne e uomini, domani, possa ripartire tutto il Paese.

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Ho scritto “Opus Gay", un saggio inchiesta su omofobia e morale sessuale cattolica, ho fondato GnamGlam, progetto sull'agroalimentare. Sono tutrice volontaria di minori stranieri non accompagnati e mi interesso da sempre di diritti, immigrazione, ambiente e territorio. Lavoro in Fondazione Luigi Einaudi