«L’aumento dell’occupazione, in primis femminile, è un obiettivo imprescindibile: benessere, autodeterminazione, legalità e sicurezza sono temi strettamente legati all’occupazione femminile nel Mezzogiorno. L’Italia presenta oggi uno dei peggiori gap salariali tra generi in Europa, oltre a una cronica scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo. Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa previste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi».

Parola del nuovo presidente del Consiglio, Mario Draghi, nel giorno in cui il suo governo ha incassato la fiducia del Parlamento. Rivedere il ruolo della donna negli ambiti lavorativi è uno dei temi centrali dell’agenda politica del premier e la necessità di intervenire in fretta per appianare le differenze di genere che ancora esistono è evidente se si guardano i numeri delle ultime statistiche e gli effetti della crisi pandemica. Nonostante qualche timido passo in avanti, il divario di genere nei tassi di occupazione in Italia rimane tra i più alti di Europa (circa 18 punti su una media europea di 10). Con la pandemia l’occupazione femminile ha fatto un balzo indietro di quattro anni: nel 2020 hanno perso il lavoro 312mila donne su un totale di 444mila posti bruciati.

Nel solo mese di dicembre 2020, su 101 mila posti di lavoro persi, 99mila erano occupati da donne. Nel secondo trimestre dell’anno è stato cancellato quasi il doppio dell’occupazione femminile creata negli undici anni precedenti. Per il Mezzogiorno è stato un duro colpo, vista la sua condizione antecedente alla crisi pandemica: solo il 32,2% delle donne meridionali tra i 15 e i 64 anni lavora (59,7% nel Nord), un valore inferiore alla media nazionale delle donne nel 1977 (33,5%). Quindi i posti di lavoro delle donne sono molto più a rischio di quelli dei colleghi maschi. Senza dimenticare che poche esponenti del gentil sesso occupano ruoli manageriali, anzi ricevono uno stipendio inferiore. Secondo gli ultimi dati Istat i salari delle donne sono in media del 25% inferiore a quelli dei maschi (15.373 euro rispetto a 20.453 euro) e le donne europee guadagnano in media, all’ora, il 14% in meno dei colleghi maschi.

«Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e alla creazione di un welfare che permetta alle donne di dedicare alla carriera le stese energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia e lavoro», ha fatto sapere il premier Draghi nel suo discorso dedicato alle donne nel mondo del lavoro. I numeri rendono urgente questo intervento: nel Mezzogiorno una madre su cinque non ha mai lavorato. In questa stessa area del Paese si registra anche la quota più alta di donne che dichiarano di non lavorare anche per altri motivi (12,1% rispetto al 6,3% della media italiana e al 4,2% della media europea).

Dedicarsi alla famiglia e abbandonare le ambizioni lavorative è una tendenza presente in tutta Italia: l’11,1% delle donne che ha avuto almeno un figlio nella vita non ha mai lavorato, un valore decisamente superiore alla media europea (3,7%). La nascita dei figli comporta anche interruzione nell’attività lavorativa delle donne: l’11% ha lasciato il lavoro in seguito alla nascita dei figli. Conciliare carriera e famiglia sembra ancora un’utopia anche perché ci sono pochi servizi per l’infanzia.

La Campania è la regione italiana con più giovani, ma con la minore offerta di asili nido: il 62% dei Comuni ne è sprovvisto. Napoli, invece, è la città campana con più residenti tra zero e due anni, ma solo il 36% dei Comuni della sua area metropolitana dispone di asili nido. Da qui la necessità di creare un welfare efficiente che cancelli definitivamente la convinzione che sia normale per una donna dover scegliere tra carriera e famiglia.

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Giornalista napoletana, classe 1992. Vive tra Napoli e Roma, si occupa di politica e giustizia con lo sguardo di chi crede che il garantismo sia il principio principe.