La pandemia da coronavirus sta devastando il mercato del lavoro. E a farne le spese sono soprattutto le donne. In tutto il mondo.
Secondo i dati del Bureau of Labor Statistics degli Stati Uniti le donne americane che hanno perso il lavoro sono molte di più rispetto agli uomini. A marzo e aprile in America sono andati in fumo 22 milioni di posti di lavoro. Nei sette mesi successivi poco più della metà di questi posti di lavoro è stata recuperata. Ma a novembre rimane un divario: 5,3 milioni di donne hanno perso il lavoro per causa di Covid-19 (4,6 milioni gli uomini). Quali sono i motivi?

Primo: la pandemia colpisce più duramente quei servizi che richiedono un contatto faccia a faccia. E le donne costituiscono la maggioranza dei lavoratori in aziende come ristoranti, hotel, ambulatori medici e negozi di abbigliamento: tutti settori che hanno tagliato drasticamente i posti di lavoro all’inizio della pandemia. Le donne, inoltre, sono impiegate spesso nei lavori più a rischio: in Usa costituiscono il 77% degli operatori sanitari e il 74% dei dipendenti nelle scuole primarie e secondarie. Sono soprattutto le donne a prendersi cura dei pazienti e a istruire i bambini: con una alta minaccia di contrarre il virus.

Nei primi due mesi della pandemia, in America, i centri diurni per l’accoglienza dei più piccoli hanno tagliato il 35% del personale. Un settore dominato dalle donne, che sono il 93% dei dipendenti degli asili nido. Ciò significa poi che le famiglie hanno molte meno possibilità di assistenza all’infanzia rispetto a prima della pandemia. E il carico di questa crisi ricade proprio sulle donne. Le responsabilità di cura a casa, infatti, non sono ancora condivise equamente. Le donne hanno più responsabilità di custodia dei bambini, compresa la supervisione dell’apprendimento a distanza. E questo fardello le costringe spesso ad abbandonare l’attività lavorativa.

Il mese scorso, la Federal Reserve Bank di Dallas hanno riscontrato una significativa disparità nel modo in cui madri e padri hanno risposto alle tensioni della pandemia sulla cura dei bambini e sul loro lavoro. Da febbraio a settembre, il tasso di partecipazione alla forza lavoro delle donne con figli di età inferiore ai 13 anni è diminuito di 3 punti percentuali, rispetto a un calo di appena 1,8 punti per le donne senza figli. Per gli uomini, invece, la presenza dei bambini in casa faceva poca differenza nel loro comportamento. In più, le donne nere e latine hanno abbandonato la forza lavoro in misura molto più elevata rispetto alle donne bianche. “Vista la situazione, potrebbero essere necessari altri 40 mesi prima che il mercato del lavoro si riprenda completamente dalla pandemia”, ammettono Anneken Tappe, Clare Duffy e Tal Yellin della Cnn.

E in Italia? Il trend è lo stesso: la pandemia ha colpito l’occupazione e frenato i (pochi) progressi sull’uguaglianza di genere. Su 841mila posti di lavoro persi nel secondo trimestre del 2020 più di metà erano occupati da donne. Secondo la Fondazione Studi Consulenti del lavoro nel secondo trimestre del 2020 sono state perse 470mila posizioni al femminile rispetto al 2019, con una crescita delle donne inattive che tocca le 707mila unità. Anche nel nostro paese, poi, lo smart working ha incrementato il carico di lavoro per le donne dentro le mura domestiche. Come riportano i dati raccolti da Valore D, una donna italiana su tre in questi mesi ha lavorato più di prima e non è riuscita a mantenere un equilibrio tra lavoro e vita domestica. Tra gli uomini il rapporto è stato invece solo di uno a cinque. Non che prima del Covid andasse meglio.

I dati dell’Ocse mostrano infatti che in Italia, ogni settimana, una donna dedica in media 21 ore in più di un uomo alla cura della famiglia. Più di Spagna, Regno Unito e della media internazionale. Secondo uno studio del World Economic Forum, il mondo del lavoro del futuro verrà profondamente trasformato dall’odierna crisi sanitaria: e le donne saranno tra le prime vittime. “È probabile che questa disuguaglianza sia aggravata dal duplice impatto della tecnologia e del recessione pandemica”, avverte il Wef. La tendenza è globale, ma in alcuni paesi come l’Italia il fenomeno è assai più evidente.

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