La sfida della gender equality
Asili nido, nel Pnrr obiettivi vaghi: così la parità resta un miraggio
Il Gender Equality Index 2021 – che misura la parità di genere in Europa e nei paesi membri – spiega che, anche quest’anno, i progressi in tema di pari diritti e opportunità, li rimandiamo all’anno prossimo. Con l’Italia che fa peggio della media europea, con un punteggio di 63,8. Ridimensionate, per ora, le enormi aspettative iniziali rispetto ai fondi del Pnrr destinati alla “priorità trasversale” della gender equality. Ma con quali strumenti e in che tempi il Piano intende «garantire con riforme, istruzione e investimenti le stesse opportunità economiche e sociali tra uomini e donne in un’ottica di gender mainstreaming»?
Uno degli strumenti principali è il rafforzamento dei servizi per l’infanzia. Mario Draghi ne ha parlato al summit del G20, dedicato alla parità di genere: «Le imprese dovranno adattare i propri luoghi di lavoro alle esigenze delle madri lavoratrici». Anche ai padri lavoratori, aggiungiamo noi: perché nessun rafforzamento dei servizi basterebbe, se nel 2021 dessimo ancora per scontato, che siano le sole donne a doversi occupare dei figli. Le sole donne a fare i doppi salti carpiati, ogni giorno, per sincronizzare i tempi lavorativi con quelli di cura della famiglia. In questo caso, avremmo più servizi ma le donne direbbero comunque addio a ogni aspettativa di far carriera, un pezzo importante del famoso “gender pay gap” che affligge il nostro paese. Il “Piano asili nido” sviluppato nel Pnrr è certamente uno degli investimenti principali: con i 4,6 miliardi previsti, è il settimo investimento in termini di importo stanziato all’interno del Piano. Che, però, ha subito numerose modifiche nel corso degli ultimi mesi. Se da un lato, infatti, la prima versione sembrava essere estremamente rigorosa, le versioni successive hanno subìto, col tempo, diverse modifiche che hanno portato a un “annacquamento” della misura.
Nella versione del Pnrr di metà aprile, la misura prevedeva la creazione di 228 mila posti, di cui 152 mila per asili nido (per i bambini con età compresa tra 0-3 anni) e 76 mila pernotti, le scuole dell’infanzia (fascia 3-6 anni). Ma, come spiega l’Osservatorio Conti Pubblici dell’Università Cattolica, nel documento definitivo presentato a Bruxelles, questa distinzione tra asili nido e scuole per l’infanzia è scomparsa: il corrispondente “target” per la costruzione, fissato per il 2026, è infatti relativo solo al totale di posti per asili nido e scuole dell’infanzia. Il numero dei posti è infine stato rivisto al rialzo nella versione finale approvata dal Consiglio Europeo nel luglio 2021: il sito di monitoraggio del Pnrr del Governo italiano riporta come obiettivo dell’investimento la creazione di 264.480 nuovi posti per i “servizi educativi” – senza alcuna specifica ripartizione tra asili nido e scuole dell’infanzia – da realizzarsi entro il quarto trimestre del 2025. Eppure le modalità con cui verranno suddivisi i posti creati è un elemento essenziale per valutare la reale efficacia del piano: il tasso di partecipazione scolastica per i bambini compresi tra i 3 e i 6 anni nel nostro paese (91 per cento) è superiore alla media europea (87 per cento), mentre il tasso di partecipazione agli asili nido è al di sotto dell’obiettivo del 33 per cento stabilito dal Consiglio Europeo nel 2002. Perché farne un unico calderone, dunque?
Il discorso si complica se analizziamo i dati regionali: gli unici territori a superare la soglia del 33 per cento sono Valle d’Aosta (44%), Umbria (43%), Emilia-Romagna (40%), Provincia Autonoma di Trento (38%), Lazio (34%) e Friuli-Venezia Giulia (34%). Il fanalino di coda è la Campania, in cui meno di 11 bambini su 100 hanno un posto disponibile nei servizi educativi. Resta quindi un problema fondamentale per gli asili nido non affrontato dal Pnrr: permettere uguali possibilità di accesso alle risorse agli enti locali con competenze tecniche meno sviluppate, in modo da evitare che le risorse stanziate non siano destinate alle aree geografiche in cui l’offerta di asili nido ha già raggiunto un alto livello di capillarità.
Sulla base di questi dati, è verosimile che il piano non riuscirà a garantire una copertura del 50 per cento degli asili nido per il 2026, traguardo che Spagna e Francia hanno già raggiunto nel 2019. E solo nel 2023 – quando è prevista l’aggiudicazione degli appalti per la costruzione e messa in sicurezza di asili nido e scuole per l’infanzia – sarà possibile conoscere i dettagli circa la distribuzione territoriale e la tipologia dei servizi educativi che il Governo intenderà finanziare. Ma senza tappe intermedie e senza un obiettivo specifico per gli asili nido, sarà difficile misurare l’efficacia di uno strumento che ha disomogeneità applicative così evidenti sul territorio italiano. “Parità vo’ cercando”: ma di questo passo, quando la troveremo?
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